• Testo DDL 3323

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Atto a cui si riferisce:
S.3323 Delega al Governo per l'istituzione presso i tribunali e le corti d'appello delle sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia





Legislatura 16ª - Disegno di legge N. 3323


 
 

Senato della Repubblica

XVI LEGISLATURA

 

N. 3323
 
 
 

 

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori ALBERTI CASELLATI, CALIENDO e BENEDETTI VALENTINI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 29 MAGGIO 2012

Delega al Governo per l’istituzione presso i tribunali e le corti d’appello delle sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia

 

Onorevoli Senatori. – Il disegno di legge delega per l’istituzione presso i tribunali e le corti d’appello delle sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia mira a riformare in modo profondo l’assetto dell’ordinamento giudiziario e la disciplina processuale, allo scopo di superare l’attuale frammentazione nel settore civile delle competenze nelle materie che riguardano i minori, gli incapaci e la famiglia, garantendo al massimo livello l’elevato grado di specializzazione della magistratura chiamata ad occuparsi di questi affari e delle strutture tecniche di supporto che devono cooperare per l’adozione di delicati provvedimenti che incidono in modo sensibile su soggetti deboli.

    L’opzione perseguita è quella di prevedere l’istituzione presso gli uffici giudiziari già esistenti (tribunali ordinari e corti d’appello) di una sezione specializzata, costituita solo da magistrati togati, che accentri le competenze su tutti i procedimenti in materia di famiglia, minori, stato e capacità della persona e stato civile, attualmente distribuite tra il tribunale per i minorenni, il giudice tutelare ed i tribunali ordinari (articolo 2, comma 1, lettera b).
    Il presente disegno di legge riprende largamente il precedente disegno di legge atto Senato n. 3040, nella medesima materia, differenziandosene nella previsione di attivare le sezioni specializzate presso ogni corte d’appello e presso ogni tribunale senza esclusione alcuna, sembrando opportuno e necessario mantenere la trattazione delle specifiche materie in tutte le sedi ove sussista un polo giudiziario a livello di tribunale con relativa Procura della Repubblica.
    Vi è inoltre una indispensabile aggiunta consistente nella necessità che si tenga conto della nuova distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari così come risulterà dall’attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, di conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, che è già in corso mediante la emissione dei relativi decreti legislativi. Così aggiornato, il testo si presenta dunque più idoneo ad essere concretamente esaminato, senza entrare in contraddizione con il reticolo degli uffici giudiziari di I e II grado del territorio nazionale, nonché con la nuova configurazione che esso verrà ad assumere e che, all’evidenza, risulta condizionante rispetto all’auspicata istituzione delle sezioni specializzate.
    Per garantire la specializzazione delle sezioni viene previsto che i magistrati addetti alle medesime possano essere incaricati solo della trattazione degli affari sopra specificati.
    Altro importante obiettivo perseguito dal disegno di legge delega è quello di realizzare l’unificazione e la razionalizzazione dei riti processuali, attualmente tra loro molto differenti, nel rispetto delle convenzioni internazionali e della normativa comunitaria in materia.
    Viene previsto che le sezioni specializzate provvedano in composizione monocratica per gli affari attualmente attribuiti alla competenza del giudice tutelare ed in composizione collegiale per tutti i restanti affari.
    Nella composizione della sezione specializzata si è inteso privilegiare la competenza professionale già maturata dal personale di magistratura in servizio e, pertanto, si prevede che sia data preferenza ai magistrati che abbiano svolto per almeno due anni funzioni in materia di famiglia o minori.
    Per garantire un adeguato livello di competenza tecnica specializzata anche negli uffici di procura, che svolgono un ruolo determinante nei procedimenti in materia di minori, di incapaci e di famiglia, avendo sia un potere di impulso sia un dovere di partecipazione a tutti i predetti procedimenti, è stata prevista l’istituzione di un gruppo di lavoro specializzato per la famiglia e le persone presso le procure della Repubblica dei tribunali dove sono istituite le sezioni specializzate.
    L’intervento normativo proposto dispone che le materie di competenza della sezione siano trattate solo da magistrati togati, aventi una specifica preparazione, la cui formazione professionale e aggiornamento sia curata dalla Scuola superiore della magistratura.
    Con riferimento al supporto tecnico alle decisioni che le sezioni specializzate sono chiamate ad adottare, rispetto all’attuale modulo del tribunale per i minorenni, che prevede la partecipazione dei componenti esperti direttamente all’interno del collegio giudicante, l’intervento normativo si propone di contemperare l’esigenza di approfondimento tecnico con la necessaria distinzione tra valutazione tecnica e valutazione delle prove e delle questioni giuridiche.
    Per tale motivo si è scelto di prevedere l’istituzione di una commissione tecnica consultiva, presso ciascuna sezione specializzata, composta da esperti nelle materie della psichiatria, della psicologia e della pedagogia, che avranno il compito di assistere i giudici delle sezioni specializzate nel compimento degli accertamenti tecnici, nelle forme previste per la consulenza tecnica d’ufficio nel processo civile, con la garanzia dell’eventuale contraddittorio nei confronti di esperti di parte, e con l’esclusione di qualunque partecipazione all’attività dal contenuto decisionale. Nella composizione di tali commissioni è stata data preferenza a coloro che ricoprono o hanno ricoperto l’incarico di componente privato del tribunale per i minorenni o della sezione di corte d’appello per i minorenni, mentre, anche al fine di garantire l’invarianza finanziaria, è stato previsto che il servizio prestato dai componenti di tali commissioni abbia natura esclusivamente onoraria e che ai medesimi competa un compenso determinato con le stesse modalità attualmente vigenti per i compensi derivanti dall’espletamento dell’incarico di componente privato del tribunale per i minorenni o della sezione di corte di appello per i minorenni.
    Oltre allo scopo di uniformare in maniera organica la disciplina del contenzioso in materia di famiglia, di minori, di stato e capacità della persona e di stato civile, l’intervento normativo si propone la finalità di rendere più efficace la tutela della famiglia e il riconoscimento dei diritti delle persone che ne fanno parte. L’accentramento delle competenze e la semplificazione e l’unificazione dei riti processuali agevola il superamento della crisi coniugale e il momento della decisione sull’affidamento della prole.
    La riforma, infatti, si rende necessaria per razionalizzare il sistema ed evitare i conflitti di competenza fra tre organi deputati alla decisione (tribunale ordinario, tribunale per i minorenni, giudice tutelare) i quali, a volte, sulle stesse vicende familiari hanno assunto provvedimenti non sempre coordinati e coerenti, operando secondo riti processuali radicalmente diversi.
    I criteri introdotti dal disegno di legge delega hanno la finalità di dare attuazione al riconoscimento dei diritti del minore e degli incapaci. Per quanto riguarda il minore è apparso necessario, nei limiti della sua capacità di discernimento e del grado di maturità, attribuire l’autonomia di compiere le scelte che riguardano la sua esistenza, attraverso una concreta partecipazione nei giudizi in cui è direttamente coinvolto.
    Negli ultimi anni, infatti, sono state numerose le dichiarazioni internazionali che hanno suggerito alla dottrina ed alla giurisprudenza l’elaborazione nel nostro Paese del principio del riconoscimento del minore quale soggetto di diritto a pieno titolo. Il disegno di legge delega realizza, in concreto, questi princìpi assicurando – attraverso la specifica previsione del principio del contraddittorio, della rappresentanza processuale delle parti, anche se minori o incapaci, dell’adeguata informazione e dell’ascolto, anche mediato, del minore che ha compiuto anni dodici, o di età inferiore, valutata la sua capacità di discernimento – il recepimento di un indirizzo ormai consolidato della legislazione internazionale.
    Il preminente interesse del minore sottende alla regolamentazione della disciplina del rito nei procedimenti riguardanti la famiglia.
    La Convenzione sui diritti del fanciullo dell’ONU del 20 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, all’articolo 3, sancisce espressamente che in tutte le azioni riguardanti bambini, se avviate da istituzioni di assistenza sociale, private e pubbliche, tribunali, autorità amministrative, corpi legislativi, i maggiori interessi del bambino devono costituire oggetto di primaria importanza, e a questo principio, entrato a far parte a pieno titolo del nostro sistema giuridico, ha fatto sempre più spesso riferimento sia la giurisprudenza ordinaria, di merito e di legittimità, sia la giurisprudenza costituzionale.
    Per tale ragione, si è ritenuto che gli operatori del diritto, deputati a risolvere le controversie in materia di famiglia e minori, debbano avere una competenza specifica e, soprattutto, una visione di insieme.
    Pertanto, l’istituzione di sezioni specializzate realizza l’esigenza di uno specifico «diritto processuale familiare», consentendo l’eliminazione di alcune importanti discrasie nelle prassi processuali dei vari tribunali e assicurando maggiore uniformità nelle decisioni.
    L’intervento regolatorio si propone, inoltre, di razionalizzare e unificare i vari modelli processuali che attualmente vengono utilizzati nelle controversie in materia di famiglia, minori e incapaci, frutto di una legislazione che negli ultimi decenni ha manifestato uno sviluppo non sempre organico.
    L’ampio ricorso al modello del procedimento camerale, caratterizzato da una disciplina del tutto generica e lacunosa, è stato ritenuto incompatibile con l’esigenza di garantire i diritti fondamentali della persona, come dimostrano peraltro le prassi interpretative assai diverse spesso perseguite sia dai tribunali ordinari che dai vari tribunali per i minorenni nell’applicazione del predetto procedimento. La riforma mira, dunque, a realizzare una semplificazione ed una razionalizzazione dei riti processuali, mediante il riordino e l’unificazione dei procedimenti contenziosi e di quelli che incidono sullo stato e sulla capacità della persona. Viene prevista, in particolare, una razionalizzazione dei procedimenti in materia di separazione e divorzio e di quelli relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli di genitori non uniti in matrimonio, in modo che siano disciplinati in modo uniforme. Si prevede, poi, che avverso i provvedimenti a contenuto decisionale, che non siano provvisori, pronunciati dalla sezione specializzata del tribunale in composizione collegiale, sia dato reclamo alla medesima sezione, in composizione collegiale, e che avverso i medesimi provvedimenti pronunciati dalla sezione specializzata del tribunale in composizione collegiale sia dato appello dinanzi alla competente sezione specializzata della corte d’appello.
    Si prevede, inoltre, l’applicazione ai procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, o in cui sono prevalenti esigenze di celerità della definizione, del procedimento sommario di cognizione di cui al libro IV, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile (articolo 3, comma 1, lettera i)), restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario, in ideale continuità con l’intervento di semplificazione dei riti già varato con il decreto legislativo 10 settembre 2011, n. 150. La finalità di semplificazione della riforma si realizza anche attraverso la disciplina dell’adozione dei provvedimenti di urgenza, mediante l’applicazione della disciplina di cui alla sezione II del capo III del titolo I del libro IV del codice di procedura civile, in quanto compatibile (articolo 3, comma 1, lettera l)).
    L’adozione del modello del rito cautelare uniforme consentirà, in particolare, di contemperare l’esigenza di poter adottare provvedimenti di carattere estremamente urgente con la garanzia del principio fondamentale del contraddittorio, consentendo l’adozione di provvedimenti immediati ma imponendone la conferma nel contraddittorio tra le parti entro un brevissimo periodo di tempo, a pena di inefficacia. L’importanza dell’intervento normativo va esaminata sulla base della legislazione internazionale a cui si ispira.
    Dispersa tra codici e leggi speciali, tra leggi specifiche riguardanti soggetti in età evolutiva e leggi relative solo ad adulti in cui sono inserite anche norme riguardanti i minori, la disciplina di tutela e promozione dei diritti del minore è apparsa spesso contraddittoria ed incoerente.
    La comunità internazionale da tempo ha evidenziato che il soggetto in formazione ha dei diritti che gli ordinamenti interni devono non solo riconoscere ma anche garantire e promuovere.
    Già nel 1990 la Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato aveva promosso una convenzione per regolare la tutela dei minori e numerose convenzioni, recepite nel nostro ordinamento attraverso gli strumenti della ratifica e dell’esecutività, sono state stipulate, sin dagli Anni Venti, per disciplinare il lavoro dei fanciulli; per stroncare il triste fenomeno della tratta delle donne e dei fanciulli; per regolare le competenze delle autorità e le leggi applicabili per la protezione dei minori; per disciplinare alcuni istituti di diritto familiare e in materia di alimenti e obblighi alimentari; per disciplinare il rimpatrio dei minori.
    In particolare, si è già fatto riferimento alla Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata in sede ONU il 20 novembre 1989. Essa non solo delinea in modo organico e sufficientemente completo uno statuto dei diritti del minore ma consente anche, attraverso la legge di ratifica, che i princìpi e le norme della Convenzione vengano a far parte integrante del diritto interno e diventino pertanto pienamente operanti anche nei vari Paesi.
    La Convenzione sui diritti del fanciullo, pur muovendosi dalla tradizionale considerazione del minore quale persona che «by reason of his physical and mental immaturity, needs special safeguards and care, including appropriate legaI protection, before as well as afler birth», attribuisce al minore una progressiva autonomia nell’esercizio di un catalogo completo di diritti umani. Oltre a porsi come strumento omnicomprensivo di tutela dei diritti del fanciullo, essa afferma alcuni princìpi generali che dovrebbero guidare gli Stati nella interpretazione e nella attuazione di tutti i diritti riconosciuti. Si stabilisce che il ragazzo è portatore e titolare di tutti quei diritti civili che sono riconosciuti all’uomo: fra questi, i due princìpi generali del superiore interesse del fanciullo e del suo diritto alla partecipazione attraverso l’espressione della propria opinione su ogni questione che lo riguarda (articolo 12). L’articolo 12 infatti, impone agli Stati di garantire al «fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa», e le sue opinioni debbono essere «prese in considerazione tenendo conto della sua età e del grado di maturità».
    Il diritto del minore ad avere una adeguata informazione ed a poter esprimere la – propria opinione, viene garantito anche da altre convenzioni internazionali.
    Gli articoli 3 e 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata ai sensi della legge 20 marzo 2003, n. 77, riconoscono lo stesso diritto al minore «che è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente».
    L’articolo 13 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, ratificata ai sensi della legge 15 gennaio 1994, n. 64, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, permette alla autorità procedente di rifiutare il provvedimento di rientro «qualora accerti che il minore si oppone al ritorno e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tenere conto del suo parere». L’articolo 16 della Convenzione del Lussemburgo del 20 maggio 1980, ratificata ai sensi della citata legge n. 64 del 1994, prevede che il minore debba essere necessariamente sentito e si debba tenere conto, se opportuno e in considerazione della sua età, dell’opinione da questi espressa.
    L’articolo 24, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea afferma che i bambini «possono esprimere liberamente la propria opinione. Questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità». L’articolo 6 della Convenzione di Oviedo ratificata ai sensi della legge 28 marzo 2011, n. 145, afferma che «nei casi in cui secondo la legge il minore non possiede la capacità di dare il consenso ad un intervento, quest’ultimo può essere effettuato solo con l’autorizzazione del suo rappresentante, o di un altra persona o autorità designata dalla legge» e che il parere del minore «è considerato elemento determinante in funzione dell’età e del suo livello di maturità». Il materiale internazionale è vario, sia quanto alle formulazioni, sia quanto alla sua collocazione nel sistema delle fonti, ma esso si esprime con chiarezza nella attribuzione di un preciso diritto del minore ad essere ascoltato. Il disegno di legge delega contiene la concreta attuazione di questi princìpi. Si stabilisce, in particolare, che i decreti legislativi, di cui all’articolo 1, disciplinano i procedimenti contenziosi e quelli che incidono sullo stato e sulla capacità delle persone nel rispetto del principio del contraddittorio, della rappresentanza processuale delle parti, anche se minori o incapaci, difesa tecnica, adeguata informazione del minore o del suo rappresentante, ascolto, anche mediato, del minore che ha compiuto gli anni dodici, o di età inferiore se ha capacità di discernimento. La legge delega rende concreto un orientamento, non solo riconosciuto dalla legislazione internazionale e rinvenibile anche nel nostro ordinamento (vedi la legge 4 maggio 1983, n. 184, e la legge 8 febbraio 2006, n. 54), ma fatto ormai proprio dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. Si segnala, a tale proposito, la sentenza n. 317/1998 della Corte di cassazione, secondo cui il principio di cui all’articolo 12 della citata Convenzione ONU del 1989 vale come canone di interpretazione della legislazione vigente. Si pronunziano, per la efficacia diretta della disposizione citata, le sentenze della Cassazione civile nn. 22350 del 2004, 12168 del 2005 e 6081 del 2006. Nel senso della obbligatorietà, si fa riferimento al tribunale di Genova 23 marzo 2007 ed all’ordinanza della Cassazione civile n. 9094 del 2007, con cui si precisa che l’ascolto può essere escluso solo ove l’audizione possa recare danno al minore stesso. In materia di denuncia di vizio processuale per il mancato ascolto del minore si ricordano le sentenze della Cassazione civile n. 13173 del 2005 e n. 13761 del 2007. Da ultimo, la Cassazione sezioni unite, 21 ottobre 2009, n. 22238, ha affermato che i minori, nei giudizi in cui sono portatori di interessi contrapposti o diversi da quelli dei genitori, sono qualificati «parti in senso sostanziale» ed in particolare ha sostenuto che «costituisce quindi violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto dei minori oggetto di causa, censurato in questa sede, nella quale emergono chiari gli interessi rilevanti dei minori che sono in gioco nella vertenza e avrebbero resa necessaria la loro audizione».
    Si dispone che i procedimenti in materia di famiglia, di minori e stato e capacità della persona, siano improntati al principio del contraddittorio e quindi alla necessaria rappresentanza processuale delle parti, anche se minori o incapaci. L’esigenza di dare efficace tutela a coloro che, per varie cause, sono incapaci di provvedere a sé stessi, trova soddisfazione nella riforma, nell’istituto della rappresentanza processuale e del rispetto del contraddittorio.
    Il principio della necessaria rappresentanza processuale del minore si uniforma alla legislazione internazionale.
    L’articolo 5 della citata Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli riconosce al minore, nei procedimenti che direttamente lo interessano, il diritto di partecipare quale parte autonoma al giudizio, attraverso la rappresentanza di un difensore privato.
    Dal punto di vista processuale, si segnala come l’intervento regolatorio abbia tenuto conto del principio espresso dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 16-30 gennaio 2002, con specifico riferimento all’articolo 336 del codice civile, ma estensibile in generale, secondo cui la disposizione dell’articolo 12 della Convenzione ONU «entrata nell’ordinamento è idonea ad integrare, ove necessario, la disciplina dell’articolo 336, secondo comma, del codice civile, nel senso di configurare il minore come parte del procedimento, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale». Va precisato, inoltre, che un criterio cardine del procedimento riguardante i minori ed i soggetti incapaci, essenziale per una effettiva garanzia del superiore interesse del minore e di tutela dei soggetti deboli, è quello che il procedimento deve tendere all’accertamento concreto dei fatti per cui si procede (articolo 3, comma 1, lettera e). Mentre, nel suo schema consueto, la giurisdizione civile affida alle parti, in quanto portatrici di diritti soggettivi, sia la richiesta dell’intervento giudiziario, sia la prospettazione e la dimostrazione della realtà portata in giudizio, nei procedimenti riguardanti i minori e gli incapaci il giudice non può essere condizionato nell’accertamento della verità dall’iniziativa di una parte e non può essere legato, nella ricostruzione della situazione, ai contributi probatori offerti dalle parti, ma può e deve accertare la reale situazione con ogni strumento utile di cui ritenga opportuno avvalersi. Si prevede il potere d’ufficio del giudice di compiere tutti gli atti istruttori necessari per l’accertamento dei fatti per cui si procede nei procedimenti a tutela dei minori e soggetti incapaci. Tale principio introdotto dalla legge delega non contrasta con la tutela dei diritti di difesa.
    La Corte costituzionale ha, infatti, riconosciuto che la regola del diritto di difesa non preclude la possibilità che la disciplina si conformi alle specifiche caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti «purché ne vengano assicurati lo scopo e la funzione cioè la garanzia del contraddittorio in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti» (Corte costituzionale, sentenza n. 46 dell’8-18 marzo 1957 e n. 122 del 15-18 aprile 1996).
    In ordine alla natura di tale procedimento si potrebbe aderire alla tesi espressa dalla Corte di cassazione nella sentenza a sezioni unite del 19 giugno 1996, n. 5629, secondo cui si tratterebbe di «procedimenti a contenuto oggettivo», caratterizzati dal rilievo riconosciuto ai poteri del giudice in quanto tendenti a soddisfare non solo interessi privati, ma anche un interesse pubblico e superindividuale (articoli 2 e 3 della Costituzione in relazione al principio di solidarietà ed al dovere di rimozione degli ostacoli che impediscono la parità sostanziale ed articolo 31 della Costituzione in relazione alla protezione dell’infanzia e della gioventù).
    L’articolo 1, comma 5, reca la clausola di invarianza finanziaria. Si dispone che dall’attuazione della presente legge e dei decreti legislativi da essa previsti non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Infatti, l’articolo 2, comma 1, lettera m), prevede che il servizio prestato dai componenti delle commissioni tecniche consultive abbiano natura esclusivamente onoraria e che ai medesimi spetti un compenso determinato con le medesime modalità già previste per l’espletamento dell’incarico di esperto del tribunale per i minorenni, in quanto compatibili.
    L’articolo 3 reca i princìpi e i criteri direttivi dei decreti legislativi per l’uniformazione e la razionalizzazione dei procedimenti in materia di famiglia, di minore e stato e capacità della persona.

 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Delega al Governo)

    1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della giustizia, uno o più decreti legislativi al fine di istituire le sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia presso i tribunali e le corti d’appello.

    2. Con i decreti legislativi di cui al comma 1 si provvede altresì al necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
    3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi venga espresso il parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il termine di trenta giorni dalla data della ricezione; decorso tale termine, i decreti sono adottati anche in mancanza del parere. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto al comma 1, ovvero successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni.
    4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può adottare disposizioni correttive e integrative, nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi di cui alla presente legge e con la procedura di cui al comma 3.
    5. Dall’attuazione della presente legge e dei decreti legislativi da essa previsti non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

Art. 2.

(Princìpi e criteri direttivi generali per l’istituzione delle sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia presso i tribunali e le corti d’appello)

    1. I decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 1, istituiscono le sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia presso i tribunali e le corti d’appello nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) istituire una sezione specializzata in materia di persone e di famiglia presso ogni tribunale e presso ogni corte d’appello, tenuto conto della nuova distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, di conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138;

        b) trasferire alle sezioni specializzate di cui alla lettera a) le competenze giurisdizionali civili e le competenze amministrative in materia di famiglia, di minori, di stato e capacità della persona, e di stato civile attualmente attribuite al tribunale per i minorenni, al giudice tutelare e ai tribunali ordinari;
        c) prevedere che i magistrati assegnati alle sezioni specializzate di cui alla lettera a) siano incaricati della trattazione dei soli affari di cui alla lettera b);
        d) prevedere che le sezioni specializzate di cui alla lettera a) siano composte esclusivamente da giudici togati e che ai fini dell’individuazione dei magistrati da designare per comporre le sezioni specializzate sia riconosciuta preferenza ai magistrati che abbiano svolto per almeno due anni funzioni di presidente o di giudice nei procedimenti in materia di famiglia, di giudice tutelare o funzioni di presidente o di giudice del tribunale per i minorenni;
        e) prevedere che l’organico delle sezioni specializzate di cui alla lettera a) sia determinato con uno o più decreti del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura;
        f) prevedere l’istituzione di un gruppo di lavoro specializzato per la famiglia e le persone presso le procure della Repubblica;
        g) disciplinare le modalità con le quali le sezioni specializzate di cui alla lettera a) e i gruppi di lavoro specializzati presso le procure della Repubblica di cui alla lettera f) si avvalgono dell’opera e della collaborazione dei servizi istituiti o promossi dalla pubblica amministrazione centrale e periferica ed in particolare degli uffici di servizio sociale, del Servizio sanitario nazionale, dei servizi scolastici, degli specialisti, degli istituti e degli organismi dipendenti dal Ministero della giustizia o con questo convenzionati;
        h) prevedere che la Scuola superiore della magistratura, di cui al decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, curi la formazione specialistica e l’aggiornamento dei magistrati addetti agli uffici indicati nelle lettere a) e e);
        i) istituire una commissione tecnica consultiva presso ciascuna sezione specializzata, composta da esperti in psichiatria, psicologia e pedagogia, nominati dal Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura, su segnalazione dei presidenti delle sezioni specializzate di cui alla lettera a), con il compito di assistere le sezioni specializzate nel compimento di accertamenti tecnici, nelle forme previste per la consulenza tecnica d’ufficio nel processo civile, e con l’esclusione di qualunque partecipazione ad attività dal contenuto decisionale;
        l) prevedere tra i requisiti per la nomina dei componenti delle commissioni di cui alla lettera i) il compimento del trentesimo anno di età ed il possesso di titoli universitari in psichiatria, psicologia o pedagogia, e prevedere, altresì, la precedenza nei confronti di coloro che ricoprono o hanno ricoperto l’incarico di componente privato del tribunale per i minorenni o della sezione di corte di appello per i minorenni;
        m) prevedere che il servizio prestato dai componenti delle commissioni di cui alla lettera i) abbia natura esclusivamente onoraria, e che ai medesimi competa un compenso determinato con le medesime modalità già previste per l’espletamento dell’incarico di componente privato del tribunale per i minorenni o della sezione di corte d’appello per i minorenni, in quanto compatibili;
        n) prevedere l’abrogazione di tutte le norme incompatibili con le nuove disposizioni e disciplinare il trasferimento davanti alle sezioni specializzate di cui alla lettera a), dei procedimenti che alla data di entrata in vigore del primo dei decreti legislativi attuativi della presente delega sono pendenti davanti al tribunale ordinario, al tribunale per i minorenni e al giudice tutelare.

Art. 3.

(Princìpi e criteri direttivi per l’uniformazione e la razionalizzazione dei procedimenti in materia di famiglia, minori e stato e capacità della persona)

    1. I decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 1, realizzano l’unificazione e la razionalizzazione dei diversi procedimenti in materia di famiglia, minori e stato e capacità della persona, nel rispetto delle Convenzioni internazionali e della normativa dell’Unione europea in materia e con l’osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) disciplinare i procedimenti contenziosi e quelli che incidono sullo stato e sulla capacità della persona, nel rispetto dei seguenti princìpi: principio del contraddittorio; rappresentanza processuale delle parti, anche se minori o incapaci; difesa tecnica; impugnazione di tutti i provvedimenti a contenuto decisionale che non siano provvisori; adeguata informazione del minore o del suo rappresentante; ascolto, anche mediato, del minore che ha compiuto gli anni dodici, o di età inferiore se ha capacità di discernimento, nei casi in cui vi è controversia sul suo affidamento o sulla sua educazione ed istruzione, e in ogni caso in cui ciò sia necessario nell’interesse preminente del minore;

        b) stabilire i criteri di competenza per territorio nei procedimenti sia giurisdizionali sia amministrativi, prevedendo la competenza del giudice del luogo di residenza, domicilio o dimora della famiglia o della persona nei confronti della quale è richiesto il provvedimento o, in caso di residenza non conosciuta, del giudice del luogo in cui risiede o ha sede il richiedente il provvedimento;
        c) prevedere che le sezioni specializzate di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), decidono in composizione monocratica per gli affari attualmente attribuiti alla competenza del giudice tutelare ed in composizione collegiale per tutti i restanti affari;
        d) prevedere l’intervento obbligatorio del pubblico ministero in tutti i procedimenti di competenza delle sezioni specializzate e la legittimazione dello stesso a promuovere i procedimenti a tutela di minori e soggetti incapaci;
        e) prevedere il potere d’ufficio del giudice di compiere tutti gli atti istruttori necessari per l’accertamento dei fatti per cui si procede nei procedimenti riguardanti minori e soggetti incapaci;
        f) prevedere che i procedimenti in materia di separazione personale dei coniugi, quelli in materia di scioglimento del matrimonio e quelli relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli di genitori non uniti in matrimonio siano disciplinati in modo uniforme;
        g) disporre, per i procedimenti di natura non contenziosa, che la difesa tecnica sia necessaria solo nella fase di reclamo del provvedimento;
        h) prevedere che, avverso i provvedimenti a contenuto decisionale che non siano provvisori pronunciati dalla sezione specializzata del tribunale in composizione monocratica, sia dato reclamo alla medesima sezione, in composizione collegiale, e che avverso i medesimi provvedimenti pronunciati dalla sezione specializzata del tribunale in composizione collegiale sia dato appello dinanzi alla competente sezione specializzata della corte d’appello;
        i) prevedere l’applicazione ai procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, o in cui sono prevalenti esigenze di celerità della definizione, del procedimento sommario di cognizione di cui al libro IV, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario;
        l) disciplinare l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, prevedendo l’applicazione della disciplina di cui alla sezione II del capo III del titolo I del libro IV del codice di procedura civile, in quanto compatibile;
        m) prevedere l’abrogazione esplicita di tutte le norme incompatibili con le disposizioni introdotte dai decreti legislativi di cui all’articolo 1.


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