• Testo DDL 3183

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Atto a cui si riferisce:
S.3183 Modifiche al titolo V della Parte II della Costituzione in materia di istituzione del Senato federale della Repubblica, composizione della Camera dei deputati, del Senato federale della Repubblica, del Governo e dei Consigli regionali, nonché in materia di accorpamento delle regioni, di popolazione dei comuni e di soppressione delle province
approvato con il nuovo titolo
"Modifiche alla Parte seconda della Costituzione concernenti le Camere del Parlamento e la forma di governo"





Legislatura 16ª - Disegno di legge N. 3183


 
 

Senato della Repubblica

XVI LEGISLATURA

 

N. 3183
 
 
 

 

DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE

d’iniziativa del senatore FISTAROL

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 1º MARZO 2012

Modifiche al titolo V della Parte II della Costituzione
in materia di istituzione del Senato federale della Repubblica,
composizione della Camera dei deputati, del Senato federale
della Repubblica, del Governo e dei Consigli regionali, nonché
in materia di accorpamento delle regioni, di popolazione dei comuni
e di soppressione delle province

 

Onorevoli Senatori. – Agli occhi degli italiani il principale problema del Paese oggi, è la politica o meglio, l’ormai perdurante incapacità della politica di dare risposte ai bisogni di modernità, competizione ed efficienza del Paese, nonché di qualità dei servizi erogati alle persone e alle imprese. È il sistema politico ed istituzionale nel suo complesso ad essere ritenuto anacronistico, lento, costoso, inefficiente, eccessivo. Tutto ciò in una situazione di severa contingenza economica che, inevitabilmente, non ha potuto che inasprire il sentimento di insofferenza verso un sistema che si mostra sempre più inadeguato a fornire risposte. Si ritiene necessario, dunque, un intervento legislativo volto a ridimensionare strutturalmente l’articolazione politica ed istituzionale del nostro Paese, al fine di restituire all’azione politica l’autorevolezza indispensabile a proporre le misure necessarie per affrontare la crisi.

    Il presente disegno di legge – che il proponente auspica trovi un largo consenso in Parlamento – riprende una generale richiesta dei cittadini di adeguare il funzionamento della politica a nuovi parametri di rigore economico, di semplificazione delle istituzioni e di efficienza decisionale, necessari per l’auspicata ripresa economica.
    È di tutta evidenza che la spesa pubblica improduttiva sia il primo nemico del nostro sistema economico e sociale. Le ultime manovre finanziarie, mettendo in atto modesti tagli sui costi strutturali e limitandosi ad arginare lo spettro del debito con l’imposizione di una maggior pressione fiscale ai cittadini, non hanno fatto che oscurare ogni orizzonte di crescita e di sviluppo della nostra economia. Il presente disegno di legge è teso ad introdurre modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in particolare concernenti l’istituzione del Senato federale della Repubblica, la composizione della Camera dei deputati, del Senato federale della Repubblica, del Governo e dei Consigli regionali, nonché l’accorpamento delle regioni, la popolazione dei comuni e la soppressione delle province. Tale proposta persegue due finalità precise: da un lato, il controllo della spesa pubblica e la drastica riduzione di enti e apparati; dall’altro, l’aumento della competitività e la crescita del Paese anche tramite l’efficientamento dell’apparato amministrativo.
    Di seguito, si riporta una sintesi di quanto previsto dal presente disegno di legge costituzionale, rispetto al quale il proponente auspica un esame ed un’approvazione in tempi rapidi da parte del Parlamento.

Istituzione del Senato federale della Repubblica

    L’istituzione del Senato federale della Repubblica, quale Camera rappresentativa degli interessi del territorio e delle comunità locali, prevista all’articolo 3 del disegno di legge, segna la fine del bicameralismo perfetto. La composizione consta di centocinquanta senatori, eletti – in un numero pari almeno a tre – in ognuna delle regioni (ridotte a dodici) contestualmente ai Consigli regionali; ai senatori in tal modo eletti si aggiungono ventiquattro delegati delle regioni che, senza diritto di voto, partecipano in ogni caso ai lavori del Senato federale.

    Salvo alcune materie riservate al procedimento collettivo delle due Camere, il modello prevalente per la funzione legislativa è monocamerale, rispettivamente di competenza della Camera dei deputati e del Senato federale sulla base delle questioni trattate: in base a tale sistema, non è più richiesta la doppia approvazione di Camera e Senato sullo stesso testo. La Camera esamina le proposte di legge sulle materie di competenza statale, il Senato i disegni di legge che riguardano le materie concorrenti, cioè quelle riservate sia allo Stato, sia alle regioni. Il ramo del Parlamento che non ha la competenza diretta può comunque presentare proposte di modifica.
    Sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, Camera e Senato legiferano insieme.

Riduzione del numero dei Deputati e dei Senatori

    La riduzione del numero dei componenti delle Camere non risolve di per sè i problemi illustrati, ma non può che rappresentare una prima «potatura» necessaria. Ad oltre quarant’anni dalla concreta attuazione delle regioni a Statuto ordinario, a dieci anni dalla riforma del titolo V della Costituzione e, quindi, dalla riscrittura dei rapporti tra potere centrale e potere regionale, così come si impone necessariamente una riduzione del numero dei Consiglieri regionali, è opportuno anche rivedere la composizione delle Camere. Tale proposta rappresenta un equilibrato compromesso, coerente con lo spirito della Costituzione repubblicana, tra le ragioni della funzionalità e quelle della rappresentanza democratica.

    Il presente disegno di legge riduce a 350 il numero dei componenti della Camera dei deputati (di cui dodici eletti nella Circoscrizione Estero) e a 150 quello del Senato. Una riduzione sensibile, che tuttavia garantisce il principio della rappresentatività democratica delle Camere, quello della governabilità, nel contempo rispondendo alla necessità di ridurre i costi della politica e assicurando il funzionamento delle istituzioni.
    In termini di taglio dei costi, la riduzione del numero dei deputati da 630 a 350 e dei senatori da 315 a 150 comporterebbe un risparmio di almeno 106.800.000 euro annui, relativo all’indennità di carica, a cui vanno aggiunti ulteriori risparmi dovuti all’alleggerimento della macchina amministrativa del Parlamento. Le spese di funzionamento del Parlamento potrebbero quindi passare dagli attuali 1.519 milioni a 1.063,3 milioni di euro l’anno.

Riduzione del numero dei Ministri

    Numerosi analisti economici attribuiscono all’Italia il limite di aver organizzato la pubblica amministrazione attraverso meccanismi complessi e costosi. Sicuramente esiste il problema del costo intrinseco della pubblica amministrazione, dove emergono, in termini assolutamente negativi, quelli che vengono definiti come i «costi della politica», tuttavia è necessario anche considerare il costo indiretto rappresentato dalla farraginosa articolazione della pubblica amministrazione, che spesso accumula ritardi senza neanche riuscire a fornire i servizi. Ciò avviene a prescindere dalla preparazione e dall’impegno dei dipendenti, e dalle figure apicali e dirigenziali. Il nostro Paese ha costruito il sistema della pubblica amministrazione attraverso stratificazioni successive che non hanno mai consentito di affrontare con efficacia la sfida della modernizzazione. L’esempio della difficoltà ad innovare è anche legato alla discutibile modalità tramite cui, negli anni, i diversi Governi e il Parlamento hanno affrontato la semplificazione amministrativa delle competenze espresse dai Ministeri, ovvero proprio da quanti dovrebbero rappresentare il cardine dell’espressione del potere centrale dello Stato.

    Il presente disegno di legge prevede quindi anche una drastica riduzione del numero dei Ministeri esistenti (da ventitre a dieci) – peraltro già proposto in altro disegno di legge ad iniziativa del proponente (atto Senato n. 2815) – e dei componenti effettivi del Governo (da settanta a quaranta), incidendo in maniera rilevante sul numero dei componenti dell’Esecutivo e interpretando in senso restrittivo quanto previsto dal decreto legislativo cosiddetto «Bassanini» del 30 luglio 1999, n. 300.

Riduzione del numero dei consiglieri regionali

    Nel presente disegno di legge il numero massimo di componenti dei Consigli regionali viene fissato a cinquanta unità, per le regioni con più di cinque milioni di abitanti; a quaranta unità, invece, per le regioni da due fino a cinque milioni di abitanti e a trenta negli altri casi. Una riduzione sensibile, ma che in ogni caso garantisce il principio della rappresentatività e della governabilità (assicurato anche dal mantenimento del premio di maggioranza alla coalizione vincente) e risponde, altresì, alla necessità di ridurre i cosiddetti costi della politica.

Abolizione delle province e razionalizzazione dei comuni

    Il presente testo ridisegna anche le autonomie locali: le province sono abolite ed i comuni dovranno essere, con apposita legge ordinaria, ridefiniti nel numero e nei confini, in modo tale da comprendere una popolazione non inferiore a 20.000 abitanti. La soppressione delle province – intervento in parte già proposto in altro disegno di legge del proponente (atto Senato n. 2819) – non solo eliminerebbe ogni sovrapposizione di competenze, snellendo la rete delle competenze amministrative territoriali, ma permetterebbe anche un considerevole risparmio per le casse dello Stato, rappresentando nel contempo per i cittadini un segnale inequivocabile di volontà di riforma della «macchina amministrativa», a vantaggio di un sistema realmente efficiente e, soprattutto, meno dispendioso. È fuor di dubbio, infatti, che le strutture burocratiche e politiche provinciali generino, per la maggioranza dei casi, costi non necessariamente giustificati dalle funzioni che svolgono. Il costo delle province, sia in termini assoluti, sia in relazione ai benefici, ha raggiunto effettivamente livelli elevatissimi. Le stime attestano che, approssimativamente, i tre quarti dei bilanci sono assorbiti dalle spese correnti e solo un quarto (circa) degli stessi viene utilizzato per gli investimenti. Vi è da sottolineare, peraltro, che la provincia, pur avendo organi elettivi e una sua struttura burocratica, ha solo contatti superficiali con il territorio, mentre la sua reale interfaccia è rappresentata dagli altri livelli di governo. Nel presente disegno di legge, quindi, si propone la soppressione delle province con relativo trasferimento delle funzioni ai comuni capoluogo (delle province soppresse). Tuttavia, è rimessa alle regioni la facoltà di istituire, in specifiche parti del territorio e per determinate materie, un livello amministrativo sovracomunale i cui organi sono composti da consiglieri dei comuni facenti parte del territorio interessato. La stessa ratio, relativa allo snellimento della pubblica amministrazione e alla riduzione dei costi, è sottesa alla proposta dell’accorpamento dei comuni con meno di 20.000 abitanti. Una proposta assolutamente di buon senso se solo si considera che nel nostro Paese, oggi, sono solo 516 su 8.092 i comuni con una popolazione superiore ai 20.000 abitanti, per una popolazione totale di 32.137.236 abitanti; la popolazione residente, secondo dati dell’ISTAT del gennaio 2011, è invece di 60.626.442 abitanti. Ne consegue che i restanti 28.489.206 italiani risiedono nei 7.576 comuni con meno di 20.000 abitanti. Con l’accorpamento, quindi, dei comuni più piccoli in nuclei con minimo 20.000 abitanti si otterrà un numero totale di comuni non superiore a 2.000. Di conseguenza, i Consigli comunali, i sindaci, i segretari comunali, i dirigenti, passerebbero da oltre 8.000 a meno di 2.000, con tutte le intuibili conseguenze positive in termini di riduzione dei cosiddetti costi della politica.

Accorpamento delle regioni in dodici macroregioni

    La necessità di una riforma della «forma dello Stato» emerge in maniera sempre più evidente se si osservano le trasformazioni economiche e politiche in corso a livello internazionale e si riflette sui persistenti nodi problematici della situazione italiana. Per poter cogliere le sfide lanciate dai mercati internazionali, è necessario fare affidamento sulle capacità del proprio sistema territoriale di mantenere, promuovere e attrarre attività economiche, risorse finanziarie e umane. Di qui la necessità di avere istituzioni regionali in grado di esercitare un ruolo forte ed autonomo nel governo dei fenomeni economici e sociali, per mezzo di adeguati strumenti legislativi, operativi e finanziari. È dunque necessario un nuovo regionalismo. Per la gestione dello sviluppo, del Sud come del Nord, occorre ragionare e progettare su scala europea, per poi puntare sul «montaggio locale» dei fattori di sviluppo e dei progetti, attribuendo alle forze di governo regionali le responsabilità e la gestione delle scelte di sviluppo. La riforma in senso regionalista deve trovare soluzioni per assicurare il massimo possibile di innovazione ed efficienza. Servono, quindi, nuove regioni per una nuova Italia.

    Due sono i fondamentali criteri di razionalità economica che possono garantire e guidare il nuovo disegno concettuale, giuridico e geografico delle regioni italiane. Il primo criterio postula l’autonomia finanziaria come fondamento dell’auto governo regionale; il secondo attiene alle dimensioni territoriali che possano favorire progetti di sviluppo economico sul lungo termine. Ciò che ne consegue è la suddivisione dell’Italia in dodici macroregioni. I criteri che hanno ispirato tale ripartizione sono stati, da un lato, l’esigenza di ridurre l’area della non sufficienza finanziaria; dall’altro, la necessità di eliminare le realtà regionali di più minute dimensioni in una prospettiva di potenziamento delle funzioni ad esse assegnate. Il nuovo disegno regionale deriva dall’accorpamento delle attuali regioni, così da rispettare gli attuali perimetri regionali:

    1. Piemonte + Valle d’Aosta + Liguria (6.207.211 abitanti);

    2. Lombardia (9.950.577 abitanti);
    3. Veneto + Trentino + Friuli (7.218.420 abitanti);
    4. Emilia Romagna (4.442.501 abitanti);
    5. Toscana + Umbria (4.642.136 abitanti);
    6. Marche + Abruzzo + Molise (3.223.371 abitanti);
    7. Lazio (5.748.792 abitanti);
    8. Campania (5.834.882 abitanti);
    9. Puglia + Basilicata (4.677.442 abitanti);
    10. Calabria (2.010.350 abitanti);
    11. Sicilia (5.048.806 abitanti);
    12. Sardegna (1.675.411 abitanti);

    La ripartizione regionale proposta consente il riassorbimento di aree finanziariamente non autosufficienti per raggiungere l’autonomia finanziaria. Questa proposta – che, seppur di un’attualità “allarmante“, riprende quella del programma di ricerca ’Geografia e istituzioni della nuova Italia’ della Fondazione Agnelli del 1992- sempre nell’ottica della razionalizzazione economica dei territori, istituisce inoltre l’obbligo di articolare gli uffici periferici dello Stato su base (macro)regionale. Si tratta dunque di riorganizzare e ridurre a dodici, pari al numero delle macroregioni, le prefetture, le Agenzie del demanio, le direzioni regionali dell’Agenzia delle entrate, dell’Esercito, e così via, stabilendo che abbiano sede nel comune capoluogo di regione e che negli altri comuni ci possano essere solo sportelli finalizzati a favorire l’accessibilità ai servizi erogati.

Abrogazione degli Statuti speciali

    I criteri del presente disegno di legge sollevano la questione delle regioni a Statuto speciale. La specialità è nata nel 1948 con modalità che corrispondevano a particolari necessità che oggi non possono non apparire superate. È auspicabile una nuova discussione del concetto di specialità, nella convinzione che la tutela delle specialità culturali non possa più reggersi su «speciali» trattamenti finanziari e fiscali. Alla luce di tali considerazioni, il presente disegno di legge prevede l’abrogazione degli statuti speciali, propedeutica, inoltre, all’accorpamento delle dodici macroregioni.

 

DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

(Modifiche all’articolo 55 della Costituzione)

    1. All’articolo 55 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente:

    «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica».

Art. 2.

(Modifiche all’articolo 56 della Costituzione)

    1. All’articolo 56 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) al secondo comma, la parola «seicentotrenta» è sostituita dalla seguente: «trecentocinquanta»;

        b) al quarto comma, la parola «seicentodiciotto» è sostituita dalla seguente: «trecentotrentotto».

Art. 3.

(Modifiche all’articolo 57 della Costituzione -
Senato federale della Repubblica)

    1. L’articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente:

    «Art. 57. – Il Senato federale della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto su base regionale.

    Il Senato federale della Repubblica è composto da centocinquanta senatori eletti in ciascuna Regione contestualmente all’elezione del rispettivo Consiglio regionale. L’elezione del Senato federale della Repubblica è disciplinata con legge dello Stato che garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori.
    Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a tre.
    La ripartizione dei seggi tra le regioni, previa applicazione delle disposizioni del terzo comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Partecipano all’attività del Senato federale della Repubblica, senza diritto di voto, secondo le modalità previste dal suo regolamento, rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali. All’inizio di ogni legislatura regionale, ciascun Consiglio elegge un rappresentante tra i propri componenti e ciascun Consiglio delle autonomie locali elegge un rappresentante tra i sindaci e i presidenti di città metropolitana della Regione».

Art. 4.

(Modifica all’articolo 70 della Costituzione -
Funzione legislativa)

    1. L’articolo 70 della Costituzione è sostituito dal seguente:

    «Art. 70. - La Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, fatto salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Dopo l’approvazione da parte della Camera, il Senato federale della Repubblica, entro trenta giorni, può proporre modifiche ai disegni di legge sulle quali la Camera decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge.

    Il Senato federale della Repubblica esamina i disegni di legge concernenti la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, fatto salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Dopo l’approvazione da parte del Senato, la Camera dei deputati, entro trenta giorni dalla loro trasmissione, può proporre modifiche ai disegni di legge, sulle quali il Senato decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge.
    La funzione legislativa dello Stato è esercitata collettivamente dalle due Camere per l’esame dei disegni di legge concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), e 119, l’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 120, secondo comma, il sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica, nonché nei casi in cui la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato o alla legge della Repubblica, di cui agli articoli 117, commi quinto e nono, 118, commi secondo, 122, primo comma, 125, 132, secondo comma, e 133, secondo comma.
    Qualora il Governo ritenga che proprie modifiche a un disegno di legge, sottoposto all’esame del Senato federale della Repubblica ai sensi del secondo comma, siano essenziali per l’attuazione del suo programma approvato dalla Camera dei deputati, ovvero per la tutela delle finalità di cui all’articolo 120, secondo comma, il Presidente della Repubblica, verificati i presupposti costituzionali, può autorizzare il Presidente del Consiglio dei Ministri ad esporne le motivazioni al Senato, che decide entro trenta giorni. Se tali modifiche non sono accolte dal Senato, il disegno di legge è trasmesso alla Camera che decide in via definitiva a maggioranza assoluta dei suoi componenti sulle modifiche proposte.
    L’autorizzazione da parte del Presidente della Repubblica di cui al quarto comma può avere ad oggetto esclusivamente le modifiche proposte dal Governo ed approvate dalla Camera dei deputati ai sensi del secondo periodo del secondo comma».

Art. 5.

(Procedure legislative in casi particolari)

    1. All’articolo 73, secondo comma, della Costituzione, dopo le parole: «dei propri componenti,» sono inserite le seguenti: «e secondo le rispettive competenze ai sensi dell’articolo 70,».

    2. All’articolo 74, secondo comma, della Costituzione, dopo le parole: «Se le Camere» sono inserite le seguenti: «, secondo le rispettive competenze ai sensi dell’articolo 70,».
    3. All’articolo 77 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) al primo comma, dopo le parole: «delegazione delle Camere,» sono inserite le seguenti: «secondo le rispettive competenze ai sensi dell’articolo 70,»;

        b) al secondo comma, le parole da: «alle Camere» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «alle Camere competenti ai sensi dell’articolo 70, che si riuniscono entro cinque giorni. La Camera dei deputati, anche se sciolta, è appositamente convocata»;
        c) al terzo comma, secondo periodo, dopo le parole: «Le Camere» sono inserite le seguenti: «, secondo le rispettive competenze ai sensi dell’articolo 70,».

Art. 6.

(Modifica all’articolo 92 della Costituzione)

    1. Il secondo comma dell’articolo 92 della Costituzione, è sostituito dal seguente:

    «Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e da dieci ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.».

Art. 7.

(Modifica all’articolo 97 della Costituzione)

    1. All’articolo 97 della Costituzione, dopo il primo comma è inserito il seguente:

        «Gli uffici statali decentrati sono organizzati su base regionale e hanno sede nei comuni capoluogo di regione. Presso gli altri comuni possono essere attivati sportelli esclusivamente finalizzati a favorire l’accessibilità pubblica dei servizi erogati.».

Art. 8.

(Modifica alla rubrica del Titolo V
della Parte II della Costituzione)

    1. La rubrica del Titolo V della Parte II della Costituzione è sostituita dalla seguente: «Le regioni e i comuni».

Art. 9.

(Modifiche all’articolo 114
della Costituzione)

    1. All’articolo 114 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) al primo comma, le parole: «dalle Province» sono soppresse;

        b) al secondo comma, le parole: «le Province» sono soppresse.

Art. 10.

(Abrogazione dell’articolo 116 della
Costituzione)

    1. L’articolo 116 della Costituzione è abrogato.

Art. 11.

(Modifiche all’articolo 117
della Costituzione)

    1. All’articolo 117 della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) al secondo comma, lettera p) la parola, «Province» è soppressa;

        b) al quinto comma, le parole: «e le Province autonome di Trento e di Bolzano» sono soppresse;
        c) al sesto comma, le parole: «, le Province» sono soppresse.

Art. 12.

(Modifiche all’articolo 118
della Costituzione)

    1. All’articolo 118 della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) al primo comma, la parola «Province,» è soppressa;

        b) al secondo comma, le parole: «, le province» sono soppresse;
        c) al quarto comma, la parola «Province» è soppressa.

Art. 13.

(Modifiche all’articolo 119
della Costituzione)

    1. All’articolo 119 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) al primo comma, le parole: «le Province,» sono soppresse;

        b) al secondo comma, le parole: «le Province,» sono soppresse;
        c) al quarto comma, le parole: «alle Province» sono soppresse;
        d) al quinto comma, la parola: «Province,» è soppressa;
        e) al sesto comma, le parole: «le Province,» sono soppresse.

Art. 14.

(Modifica all’articolo 120
della Costituzione)

    1. Al secondo comma dell’articolo 120 della Costituzione, le parole: «, delle Province» sono soppresse.

Art. 15.

(Modifica all’articolo 122
della Costituzione)

    1. All’articolo 122 della Costituzione, dopo il primo comma è inserito il seguente:

    «In ogni caso il numero di consiglieri regionali non può essere superiore a cinquanta nelle regioni con più di cinque milioni di abitanti; a quaranta nelle regioni con popolazione compresa tra i due e i cinque milioni di abitanti; a trenta nelle altre regioni. Il Presidente della Giunta regionale è membro di diritto del Consiglio regionale e si aggiunge ai componenti eletti ai sensi della normativa vigente.».

Art. 16.

(Modifica all’articolo 131
della Costituzione)

    1. L’articolo 131 della Costituzione è sostituito dal seguente:

    –«Art. 131 – Sono costituite le seguenti regioni:
        Piemonte – Valle d’Aosta – Liguria;

        Lombardia;
        Triveneto;
        Emilia-Romagna;
    –Toscana – Umbria;
        Marche – Abruzzi – Molise;
        Lazio;
        Puglia – Basilicata;
        Campania;
        Calabria;
        Sicilia;
        Sardegna».

Art. 17.

(Modifica all’articolo 132
della Costituzione)

    1. All’articolo 132 della Costituzione, il secondo comma è sostituito dal seguente:

    «Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni del Comune o dei Comuni interessati, espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che i Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra».

Art. 18.

(Modifiche all’articolo 133
della Costituzione)

    1. All’articolo 133 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) il primo comma è sostituito dal seguente:
    «La Regione, in specifiche parti del territorio, e per determinate materie, può istituire un livello amministrativo sovracomunale i cui organi sono composti da consiglieri dei Comuni facenti parte del territorio interessato»;
        b) dopo il secondo comma, sono aggiunti, infine i seguenti:
    «Ciascun Comune non può avere una popolazione inferiore a ventimila abitanti, salvo motivate deroghe limitatamente alle aree montane e insulari.

    Per assicurare una adeguata rappresentanza degli interessi locali, le Regioni possono istituire unità municipali aventi una popolazione inferiore a ventimila abitanti, dotate di rappresentanti eletti a suffragio universale, la cui carica è onoraria e gratuita. Le unità municipali svolgono esclusivamente funzioni consultive e sono prive difunzioni amministrative o gestionali.».

Art. 19.

(Abrogazione degli statuti speciali della Regione Siciliana, della Sardegna, della Valle d’Aosta, del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia)

    1. Sono abrogati:

        a) lo statuto della Regione siciliana, approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2;

        b) lo statuto speciale per la Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3;
        c) lo statuto speciale per la Valle d’Aosta, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4;
        d) il testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670;
        e) lo statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1;
        f) la X disposizione transitoria e finale della Costituzione.

Art. 20.

(Riduzione del numero dei Ministeri
e dei Ministri)

    1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, con legge dello Stato, il numero dei Ministeri è ridotto a dieci e quello totale dei componenti del Governo a qualsiasi titolo, compresi Ministri senza portafoglio, vice Ministri e Sottosegretari, è ridotto ad un numero non superiore alle quaranta unità.

Art. 21.

(Disposizioni transitorie e finali)

    1. Le disposizioni degli articoli 56 e 57 della Costituzione, come modificati dagli articoli 2 e 3 della presente legge costituzionale, si applicano a decorrere dalla prima legislatura successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale.

    2. Entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire alle Città metropolitane, ove costituite, ai Comuni e alle loro forme associative, le funzioni amministrative già esercitate dalle Province, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nonché a regolare il passaggio dei beni di proprietà e del personale dipendente delle Province medesime ai citati enti. Gli organi di governo delle Province restano in carica fino al termine del mandato in corso alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. Qualora alla cessazione del mandato non siano state adottate le disposizioni di riordino di cui al primo periodo del presente comma, le Regioni provvedono alla nomina di un commissario straordinario che esercita poteri di governo fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni medesime.
    3. Entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, le regioni ridefiniscono con legge, su proposta degli enti interessati, il numero, le circoscrizioni e le denominazioni dei Comuni della Repubblica, in modo che essi comprendano una popolazione residente non inferiore a ventimila abitanti, salvo motivate deroghe limitatamente alle aree montane ed insulari. Gli organi di governo dei comuni aventi una popolazione residente inferiore a ventimila abitanti restano in carica fino al termine del mandato in corso alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale; alla scadenza del mandato, i predetti organi di governo non sono rinnovati e i loro poteri sono esercitati da un commissario straordinario, nominato dalla Regione, fino all’insediamento degli organi ordinari dei nuovi Comuni.
    4. Fino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti previsti dal comma 11 del presente articolo, continuano ad applicarsi le disposizioni degli statuti abrogati dall’articolo 19 della presente legge costituzionale.
    5. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, sono indette le elezioni dei Consigli regionali e dei Presidenti delle Giunte regionali delle regioni Piemonte – Valle d’Aosta – Liguria, Triveneto, Toscana – Umbria, Marche – Abruzzi – Molise e Puglia – Basilicata. Per lo svolgimento delle elezioni, si applicano le disposizioni transitorie che lo Stato provvede ad adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale.
    6. Gli organi di governo delle regioni Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta, in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, continuano ad esercitare le loro funzioni fino alla data della proclamazione del Presidente della Giunta della regione Piemonte – Valle d’Aosta – Liguria.
    7. Gli organi di governo delle regioni Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto, in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, continuano a esercitare le loro funzioni fino alla data della proclamazione del Presidente della Giunta della regione Triveneto.
    8. Gli organi di governo delle regioni Toscana e Umbria, in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, continuano a esercitare le loro funzioni fino alla data della proclamazione del Presidente della Giunta della regione Toscana – Umbria.
    9. Gli organi di governo delle regioni Marche, Abruzzo e Molise, in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, continuano a esercitare le loro funzioni fino alla data della proclamazione del Presidente della Giunta della regione Marche – Abruzzi – Molise.
    10. Gli organi di governo delle regioni Puglia e Basilicata, in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, continuano a esercitare le loro funzioni fino alla data della proclamazione del Presidente della Giunta della regione Puglia – Basilicata.
    11. I Consigli regionali delle regioni di cui al comma 5 adottano un proprio statuto, ai sensi dell’articolo 123 della Costituzione, entro sei mesi dalla data della prima seduta successiva alle elezioni. I medesimi Consigli approvano la legge elettorale ai sensi dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione entro un anno dalla prima seduta successiva alle elezioni.
    12. Le disposizioni dell’articolo 122 della Costituzione, come modificato dall’articolo 15 della presente legge costituzionale, si applicano a decorrere dalla prima legislatura successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore della medesima legge costituzionale.


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