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Atto a cui si riferisce:
C.4/14314 [Tutelare il sito archeologico di Longola, in località Poggiomarino, provincia di Napoli]



Atto Camera

Risposta scritta pubblicata lunedì 18 giugno 2012
nell'allegato B della seduta n. 651
All'Interrogazione 4-14314 presentata da
LUISA BOSSA
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede informazioni circa le iniziative e i progetti che il Governo intenda adottare per la tutela e la valorizzazione del sito archeologico di Longola, in località Poggiomarino (Napoli) si rappresenta quanto segue.
Il sito di Poggiomarino è stato individuato nel 2000, in occasione della realizzazione di un impianto di depurazione avviato dal Commissario straordinario alle opere di bonifica del fiume Sarno.
Indagini geognostiche hanno verificato che l'area archeologica ha un'estensione complessiva di circa 7 ettari.
Si tratta di un villaggio fluviale dell'età del Bronzo, costituito da un aggregato di strutture lignee disposte su piccoli isolotti artificiali, lungo una serie di canali di derivazione del fiume Sarno. Il sito è oggetto di occupazione dall'età del Bronzo fino agli inizi dell'età arcaica (inizi VI sec. a.C.).
In seguito ai primi scavi, i lavori per il depuratore furono sospesi e delocalizzati. L'area d'interesse archeologico è stata espropriata, inizialmente a cura del Commissario straordinario, in seguito dalla soprintendenza, ed è attualmente affidata alla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei.
Al suo interno vi sono, oltre alle aree di scavo, diversi manufatti in cemento armato, soprattutto alcune grandi vasche incomplete, frutto della precedente destinazione d'uso.
In tutta l'area la falda acquifera è molto alta; per questa ragione l'effettuazione dello scavo richiede una continua attività di emungimento delle acque, attraverso l'impiego di pompe idrauliche.
Lo scavo in corso ha riguardato le uniche due aree a vista dell'insediamento, dell'ampiezza complessiva di metri quadri 1.600.
Il primo saggio, dell'estensione di circa 800 metri quadri è stato ripulito, ricondotto ad un livello di leggibilità e reinterrato per garantire la conservazione delle evidenze archeologiche.
Nel secondo saggio, come da progetto, le indagini sono state condotte fino al raggiungimento delle quote sterili, diversamente da quanto indicato dall'interrogante.
I dati di scavo testimoniano che la più antica occupazione del sito risale, in questo settore dell'insediamento, tra il Bronzo finale e gli inizi dell'età del Ferro. Si rappresenta che i risultati di scavo sono ampiamente pubblicati in volumi e riviste di alto livello scientifico.
Per quanto concerne l'episodio di incendio citato, si segnala che esso si verificò nell'estate del 2010 e che la soprintendenza ha presentato opportuna denuncia alle autorità competenti.
Per quanto riguarda, viceversa, l'allagamento dei depositi richiamato nell'interrogazione, va ricordato che anche questo episodio si è verificato sempre nel 2010; in entrambi i casi, comunque, appare del tutto infondata la lamentata perdita di materiale e informazioni.
Per quanto concerne la valorizzazione del sito, si segnala che due fattori impediscono, al momento, di lasciare a vista l'area indagata:

il livello della falda richiede, per il mantenimento a vista delle emergenze (che si trovano a circa 5-6 di profondità), l'utilizzo di pompe idrovore, il cui funzionamento richiede costi quotidiani molto elevati e non sostenibili se non in presenza di un finanziamento ad hoc;

nel saggio ancora a vista, al termine dello scavo, che ha previsto l'asportazione degli elementi lignei per le necessarie campionature ed analisi nonché per la registrazione di tutta la sequenza stratigrafica, fino al raggiungimento dei livelli sterili, le emergenze rimaste in situ risultano piuttosto scarse e poco leggibili, quindi scarsamente fruibili.
Da quanto descritto emerge con evidenza come, almeno al momento, un progetto di valorizzazione del sito debba necessariamente prescindere dalla fruizione diretta delle emergenze archeologiche, la cui conservazione, dovuta al loro mantenimento nei secoli in ambiente umido, difficilmente può, al momento, essere assicurata in ambiente asciutto.
A tale scopo occorrerebbe predisporre un progetto di restauro in situ che, per la complessità operativa e tecnica, richiede notevoli tempi e costi di elaborazione, certamente non compatibili con l'attuale esigenza di tutela e salvaguardia delle emergenze archeologiche.
È invece praticabile, come già nelle intenzioni della Soprintendenza, l'ipotesi di una valorizzazione dei risultati dello scavo archeologico attraverso la creazione di un Parco di archeologia sperimentale, che preveda la ricostruzione delle preesistenze in superficie.
In tale prospettiva si sono attivate collaborazioni con Istituti di ricerca italiani ed esteri al fine di procedere allo studio delle migliaia di reperti recuperati (ceramica, reperti metallici, resti botanici e faunistici eccetera) premessa indispensabile per qualunque progetto di valorizzazione e musealizzazione.
Proprio nell'intento di divulgare la conoscenza dell'importante insediamento protostorico, la Soprintendenza ha accolto la richiesta di esporre reperti provenienti nello scavo ad Halle, in Germania, presso il Museo nazionale della Preistoria, nell'ambito della mostra dal titolo «Le catastrofi sotto al Vesuvio» e ha intenzione di promuovere un programma di valorizzazione che coinvolga l'amministrazione locale.

Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.