• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA

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Atto a cui si riferisce:
S.4/06442 [Relazioni tra Italia e Turchia]
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Testo della risposta scritta



Atto Senato

Interrogazione a risposta scritta 4-06442 presentata da PAOLO AMATO
giovedì 15 dicembre 2011, seduta n.647

AMATO, IZZO, PERDUCA - Al Ministro degli affari esteri - Premesso che:

in occasione del recente forum italo-turco organizzato ad Istanbul, il 25 novembre 2011, da Unicredit e dal Centro di studi strategici del Ministero degli esteri turco con la presenza dei Ministri degli esteri dei due Paesi, il Ministro in indirizzo ha ribadito che l'atteggiamento di apertura nei confronti della Turchia è un elemento di forte continuità della politica italiana ed il Governo, così come i precedenti, si conferma favorevole alla piena integrazione della Turchia nell'Unione europea (UE);

la Repubblica di Turchia (che è Paese membro del Consiglio d'Europa, Paese associato alla Comunità economica europea dal 1963 e successivamente all'UE, con la quale è in unione doganale dal 1996) è stata candidata dal Consiglio europeo di Helsinki nel 1999 per l'ingresso nell'UE e i negoziati ufficiali per l'adesione sono stati avviati nel 2005;

l'Italia, con un interscambio di 16,7 miliardi di dollari nel 2010 ed uno stimato in 18 miliardi per il 2011, si è confermata al quarto posto nella graduatoria dei partner commerciali della Turchia, subito dopo Germania (28,983 miliardi), Russia (26,224 miliardi) e Cina (19,439 miliardi) e prima di Francia, Regno Unito ed Iran;

in tale rapporto economico, con esportazioni per 10,2 miliardi (+32,96 per cento rispetto al 2009) ed importazioni per 6,5 miliardi (+10,52 per cento rispetto al 2009) il saldo è attivo per l'Italia per 3,695 miliardi di dollari e la quota italiana di mercato, sul totale dell'import turco dal mondo, è pari al 5,5 per cento, in lieve aumento rispetto agli ultimi 2/3 anni e sostenuta soprattutto dalle forniture di impianti e tecnologia, superiore alla media degli altri partner europei;

la presenza economica del nostro Paese sul suolo turco si articola attraverso le 825 imprese italiane ivi operanti. Numeri che si traducono in un significativo livello di investimenti italiani che, nel 2010, hanno toccato quota 314 milioni di dollari (5 per cento dei flussi provenienti dall'estero), e che fanno dell'Italia il quinto Paese investitore in Turchia - l'unico tra i primi cinque ad aver mostrato una crescita dei propri investimenti diretti, contro i sostanziosi cali della Germania (-59,8 per cento), dei Paesi Bassi (-46,5 per cento), del Regno Unito (-73,8 per cento) e della Francia (-9,1 per cento);

la cifra del consolidato parternariato bilaterale con la Turchia è data dal collocamento nel 2010 dell'Italia, per il terzo anno consecutivo, al primo posto della graduatoria dei paesi esteri che si sono aggiudicati contratti banditi da amministrazioni pubbliche turche, per un valore totale di 130,3 milioni di euro;

a conferma della vivacità dell'interscambio economico e culturale, nel 2010, le domande di visto per l'Italia avanzate dai cittadini turchi sono state 96.589 (delle quali 95.159 accettate) confermando un significativo costante trend di crescita rispetto ai già elevati livelli del 2008 (70.785 visti) e del 2009 (70.128 visti), che posizionano stabilmente la Turchia al terzo posto tra i Paesi extra UE per numero di visti di ingresso in Italia dopo due 'giganti' come la Federazione Russia (459.967 visti) e la Cina (175.541 visti);

la consistente e crescente domanda di visti per l'Italia, la maggior parte dei quali per brevi soggiorni a fini turistici (rilasciati per circa il 70 per cento del totale dal Consolato generale di Istanbul), sta oggettivamente monopolizzando l'attività consolare delle sedi diplomatiche italiane in Turchia, tanto che quegli stessi uffici sono costretti a far ricorso a società esterne di servizi per la ricezione delle domande e a stipulare accordi con le locali Camere di commercio per una più agevole trattazione dei visti per affari;

la mole dei descritti rapporti tra Italia e Turchia deve porre vieppiù il nostro Paese in prima linea fra i promotori dell'abolizione dell'obbligo dei visti di ingresso nell'UE per i cittadini turchi. Un'istanza, questa, riaffermata con forza dal Ministro degli esteri turco Davutoglu che, durante il citato forum italo-turco, ha chiesto l'abolizione da subito ai cittadini turchi del regime dei visti per un'assoluta libertà di movimento sul suolo europeo;

ricordato che:

le motivazioni alla base dell'obbligo di un visto sono quelle di proteggere il proprio Paese contro i rischi politici, economici, sociali e sanitari provenienti dagli altri Paesi;

la Turchia è uno dei Paesi più colpiti da quest'obbligo, sin da quando, a partire degli anni '80, gli Stati membri della Comunità economica europea istituirono il visto obbligatorio per i cittadini turchi, nel timore di un'immigrazione incontrollata, allora possibile per via di un alto tasso di crescita demografico coniugato ad un basso livello del prodotto interno lordo (PIL) e pro capite;

in questo processo l'Italia ha reintrodotto il visto obbligatorio per l'ingresso dei cittadini turchi, nel 1990, dopo un periodo di parziale esenzione in vigore dal 1951; e di converso, a partire dal 1° giugno 2007, la Turchia ha abolito il visto di ingresso per i visitatori italiani, consentendo loro di entrare con la sola carta d'identità valida per l'espatrio, anche quale segno tangibile di attenzione verso gli investitori italiani;

oggi, a trent'anni dall'introduzione di tali restrizioni, è la stessa Commissione, attraverso la sua comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio del 12 ottobre 2011 sulla strategia di allargamento e sfide principali per il periodo 2011-2012 ad affermare che con un'economia dinamica e un ruolo regionale importante, e grazie al suo contributo alla politica estera e alla sicurezza energetica dell'Unione, la Turchia è un Paese chiave per la sicurezza e la prosperità dell'UE. In termini di scambi e investimenti esteri, il Paese è già in larga misura integrato nell'Unione grazie all'unione doganale. La Turchia, che è diventata un'importante piattaforma industriale per una serie di imprese leader europee, è una componente preziosa della competitività europea. La forte crescita del PIL, che ha raggiunto quasi il 9 per cento nel 2010 e dovrebbe attestarsi quest'anno al 6,1 per cento, e l'adesione al G-20 non faranno che accrescere l'importanza economica del Paese;

considerato che:

con un percorso iniziato nel 2003 l'UE ha sviluppato un diverso approccio nei confronti dell'abolizione del visto per i cittadini dei vicini Stati cosiddetti in via di sviluppo, concedendo, il 19 dicembre del 2009, la facoltà di entrare senza visto nell'area Schengen ai cittadini ex jugoslavi di Serbia, Montenegro e Macedonia, seppur tali Paesi - con un livello di PIL pro capite nettamente inferiore alla media europea, nonché al livello pro capite turco - non avessero ancora iniziato i negoziati di adesione con l'UE;

l'immediata conseguenza di detta decisione è stata quella di un sostanziale raddoppio delle domande di asilo dei cittadini dei Balcani occidentali verso gli Stati membri;

tale fenomeno ha interessato in modo particolare la Germania, la Svezia e il Belgio colpiti da un aumento esponenziale di richieste d'asilo per motivazioni economiche da Serbia, Montenegro e Macedonia. Nel primo anno dalla liberalizzazione, in Germania le richieste di asilo sono aumentate di sei volte rispetto al 2009; in Svezia, solo dalla Serbia, sono decuplicate (da 421 ad oltre 4.000); mentre il Belgio ha dovuto far fronte alle richieste di più di 200 persone di etnia rom provenienti dalla Macedonia - tanto che la Commissione è poi dovuta intervenire istituendo, a gennaio 2011, un meccanismo di controllo postliberalizzazione del visto nell'ambito del processo di stabilizzazione e associazione, intavolando con i Paesi interessati un dialogo volto a valutare l'attuazione coerente delle riforme e misure correttive efficaci;

nonostante le evidenti difficoltà riscontrate nella politica sino allora promossa dall'UE sull'abolizione dei visti per i cittadini di Serbia, Montenegro e Macedonia, l'8 novembre 2010 il Consiglio dei ministri della giustizia dei 27 ha dato il suo sì alla liberalizzazione - esecutiva dal 15 dicembre 2010 - dei visti per soggiorni fino a tre mesi per i cittadini di altri due Paesi balcanici, Albania e Bosnia Erzegovina, con il risultato, anche qui, di un raddoppio - solo per quanto riguarda l'Albania - del numero dei nuovi passaporti biometrici richiesti, per una media, nel primo anno, di circa 6.000 al giorno;

di pari passo all'implementazione di una marcata politica europea di liberalizzazione dei visti per l'area balcanica - che viene oggi coronata dall'adesione comunitaria della Croazia avvenuta il 9 dicembre 2011 - l'UE è altresì impegnata nel supportare concretamente la cosiddetta Eastern partnership, volta a rafforzare le relazioni con le ex repubbliche sovietiche di Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina nella prospettiva di accelerarne l'integrazione anche e soprattutto attraverso l'abolizione dell'obbligo di visto per chi proviene da quei Paesi, a partire da Moldova e Ucraina, per i quali sono in corso negoziati ufficiali in tal senso;

stante il conclamato fallimento di una politica di integrazione euro-mediterranea, il cui perno avrebbe dovuto essere un significativo sforzo inclusivo nei confronti della Repubblica di Turchia, si manifesta il rischio per l'Italia di vedere ulteriormente ridimensionato il proprio ruolo geo-strategico in seno all'UE in luogo di uno spostamento sempre più ad Est del baricentro comunitario. Uno scenario che asseconda i legittimi interessi dei Paesi partners comunitari centro-continentali, competitor in campo economico commerciale;

in questo senso, è sicuramente da considerarsi un'occasione persa, da parte della Commissione europea, l'emanazione delle linee guida (allegato 6 del Manuale pratico per la trattazione delle domande di visto, adottato con decisione della Commissione C (2010)1620 del 19 marzo 2010), volte a precisare la sentenza la Corte di giustizia dell'UE del 19 febbraio 2009 sulla causa C-228/06 Soysal e Savatli che aveva sostanzialmente interpretato come illegittima l'imposizione di un visto per consentire a cittadini turchi di entrare sul territorio di uno Stato membro per effettuare servizi per conto di un'impresa avente sede in Turchia. Linee guida che hanno tuttavia infine consentito l'ingresso senza visto di cittadini turchi nell'UE soltanto in Germania e in Danimarca;

ai positivi dati economici e geo-politici, ricordati in premessa, tesi a certificare la fondamentale assenza di controindicazioni ad un'abolizione dell'obbligo di visto per l'ingresso dei i cittadini turchi nell'UE, giova aggiungere alcune valutazioni legate agli aspetti della sicurezza che vanno a confermare tale impostazione: in primo luogo - a quanto risulta all'interrogante - in Italia non si sono mai verificati problemi specifici di immigrazione illegale turca; in secondo luogo, i saldi migratori della Turchia con la Germania - primo Paese europeo per comunità turca residente - sono attualmente negativi, ossia sono più numerosi i Turchi che tornano dalla Germania per lavorare in Turchia di quanti vadano dalla Turchia in Germania; in terzo ed ultimo luogo non va dimenticato che la Turchia possiede un apparato statale in grado di ben controllare le sue frontiere ed i suoi cittadini, ed ha già adottato molte delle misure e degli alti standard richiesti ai Paesi Schengen in materia di controlli, come ad esempio fatto con l'introduzione di passaporti biometrici;

ricordato infine che, sotto un profilo giuridico, la decisione di esentare dall'obbligo del visto Schengen i cittadini di un Paese terzo, attraverso un'apposita modifica del regolamento (CE) n. 539/2001 (contenente la lista dei Paesi soggetti e non soggetti a visto), è di esclusiva competenza comunitaria e viene usualmente raggiunta al culmine di un percorso che porta la Commissione a proporre al Consiglio ed al Parlamento la modifica del citato regolamento per il Paese candidato;

tenuto presente tale quadro giuridico-istituzionale, a partire da febbraio 2011, la Commissione europea ha avviato un dialogo con la Turchia su visti, mobilità e migrazione, senza che tuttavia ciò si sia ancora tramutato in alcuna positiva decisione in merito alla liberalizzazione del visto per i cittadini turchi,

si chiede di sapere:

se, a giudizio del Ministro in indirizzo, non rappresenti un grave fattore di pregiudizio per lo sviluppo del volume dell'interscambio commerciale e delle relazioni culturali tra l'Italia e la Turchia, nonché per la corretta funzionalità dell'attività delle rappresentanze diplomatiche italiane in quel Paese, il persistere dell'obbligo del visto per i cittadini turchi che desiderano recarsi in Italia;

se, in presenza di un andamento percentuale del PIL turco notevolmente maggiore rispetto all'intera eurozona - e, in termini pro capite, sensibilmente maggiore rispetto a quello dei Paesi dei Balcani occidentali - che fa venir meno eventuali rischi migratori dalla Turchia verso i Paesi membri, non ritenga opportuno che l'Italia debba farsi promotrice presso la Commissione europea di un'esplicita istanza di immediata cancellazione dell'obbligo del visto di ingresso per i cittadini turchi nell'UE, quale significativo contributo ai fini del più generale processo di integrazione europea della Turchia, anche secondo quanto ufficialmente auspicato e ricercato dalla stessa Commissione europea.

(4-06442)