• C. 4582 Proposta di legge presentata il 3 agosto 2011

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Atto a cui si riferisce:
C.4582 Delega al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia secondo il metodo del quoziente familiare



XVI LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4582


 

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PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
CAMBURSANO, DI PIETRO, CIMADORO, DI GIUSEPPE, FAVIA, MESSINA, PALAGIANO, PIFFARI, PORCINO, ROTA
Delega al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia secondo il metodo del quoziente familiare
Presentata il 3 agosto 2011


      

Onorevoli Colleghi! — In questi giorni il tavolo tecnico sui bonus fiscali è al lavoro per definire quali possano essere le agevolazioni fiscali «blindate», cioè che Governo e Parlamento non potranno cancellare, nonostante che il decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2001, sia intervenuto «con la scure». Premesso che un sistema fiscale può definirsi buono soltanto quando è al tempo stesso efficiente ed equo, allora si ritiene che questa sia l'occasione giusta perché il Parlamento si riappropri del proprio ruolo e definisca con assoluta urgenza la revisione del trattamento tributario della famiglia.
      Il nostro sistema fiscale risente più degli altri della difficoltà a valorizzare la famiglia come unità economica di riferimento della capacità contributiva.
      Già la Corte costituzionale, con la sentenza n. 179 del 15 luglio 1976, aveva invitato il Parlamento a correggere questa distorsione ma, nonostante la pronuncia della stessa Corte con la sentenza n. 358 del 24 luglio 1995, la situazione è rimasta invariata, anche se il Parlamento, con l'articolo 19 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, aveva delegato il Governo ad adottare appositi decreti legislativi il cui iter, tuttavia, pur iniziato, non si è mai concluso.
 

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      La riforma dell'IRPEF del gennaio 1998 aveva introdotto detrazioni più ampie ma solo a favore dei redditi da lavoro dipendente e autonomi più bassi, lasciando sostanzialmente intatto il peso delle imposte sui nuclei familiari di fascia e composizione diverse, rispettando così solo il principio di equità verticale – per cui l'imposta deve crescere con il crescere del reddito – ma non quello di equità orizzontale – per cui a parità di reddito nominale deve pagare una imposta inferiore chi è gravato da oneri che ne riducono la capacità contributiva.
      Nella XIV legislatura la maggioranza aveva scelto di puntare sulla sostanziale eliminazione del carattere progressivo dell'imposizione fiscale, verso due sole aliquote (23 e 33 per cento), eliminazione che avrebbe reso meno incisiva la valorizzazione del reddito familiare, ma che per fortuna è rimasta lettera morta.
      In buona sostanza, il sistema fiscale italiano ha continuato e continua ad operare senza ritenere ragionevole per la stessa economia che la famiglia costituisca l'unità più idonea per definire le potenzialità di benessere e quindi anche la capacità contributiva dei cittadini. In altre parole, il nostro sistema ritiene di fatto che la capacità sia influenzata in modo irrilevante dalla presenza dei figli a carico. Gli interventi effettuati negli ultimi anni sugli scaglioni e sulle aliquote da applicare ai redditi non appaiono pienamente idonei a realizzare una vera e autentica politica della famiglia, che non può essere affidata a misure estemporanee, confondendo le politiche assistenziali con le politiche familiari, ma che richiede interventi seri, in grado di consentire la diffusione e la crescita della famiglia, così come afferma la Carta costituzionale. Infatti l'articolo 31 della Costituzione recita testualmente: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo».
      Allarmano i dati raccolti dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) relativi alle caratteristiche della popolazione e del suo andamento: il tasso di natalità nel nostro Paese è uno dei più bassi tra i Paesi dell'Unione europea – 9,7 per cento ogni 1.000 abitanti – e più basso della stessa media dell'Unione.
      Il sistema tributario sconta forti ritardi nell'adozione di norme finalizzate alla formazione della famiglia, soprattutto nel lungo periodo.
      Rispetto a un sistema di tassazione che privilegia le spinte individualistiche si preferisce un sistema fiscale che tassi la famiglia nella sua entità.
      Questo obiettivo lo si può raggiungere con il sistema dello splitting, cioè il quoziente familiare e dunque la divisione del reddito per il numero dei componenti della famiglia.
      Le numerose indagini del Parlamento concordano nel ritenere il sistema fiscale francese, il cosiddetto «quoziente familiare», il più giusto e il più efficace per la famiglia. Quello italiano si caratterizza, invece, per una palese contraddizione: si fonda sulla tassazione a base individuale (che a parità di reddito penalizza le famiglie monoreddito) e contemporaneamente determina le tariffe sulla base del reddito familiare, se non addirittura del patrimonio della famiglia.
      Con la presente proposta di legge ci si muove su due binari paralleli: quello del quoziente familiare riferito ai diritti della famiglia, e quello delle deduzioni e delle detrazioni, che attengono ai diritti dell'individuo; è demandata poi al decreto delegato l'armonizzazione dei diversi strumenti, la cui combinazione non è neutra, poiché dipende dal valore sociale che si annette all'investimento nelle generazioni future, al contrasto delle povertà e agli obiettivi di carattere demografico. Questi obiettivi sono stati finora affrontati con un sistema di deduzioni e di detrazioni, in una specie di «scala di corrispondenza» opportunamente graduata in funzione del reddito. Tuttavia non si riescono a risolvere alcune contraddizioni: innanzitutto la cosiddetta «trappola della povertà» per gli
 

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incapienti e, in secondo luogo, il fatto che vi sia un livello in cui all'aumento del reddito lordo corrisponde una diminuzione del reddito netto, nonché il fatto incontestabile che le famiglie monoreddito siano penalizzate.
      Il sistema delle deduzioni e delle detrazioni è sostanzialmente rigido, mentre anche la migliore «scala di corrispondenza» non è neutra rispetto alle possibili scelte delle famiglie. Un problema che non è risolto neppure con un incremento dei servizi, rimane la necessità di riconoscere che le famiglie sono il luogo ove si decidono i consumi con libertà di scelta; problema che si affronta meglio con il quoziente familiare.
      La scelta di avere figli, sostenuta dal quoziente familiare e da una migliore rete dei servizi, pone semmai l'esigenza di rafforzare le politiche di sostegno del congedo, del part time, del reingresso nel mondo del lavoro.
      Si considera più fondata invece l'osservazione che la famiglia con due percettori di reddito gode di un livello di benessere «sociale» inferiore rispetto a quella con un solo reddito. In sostanza lavorare comporta costi maggiori di gestione familiare, mentre la presenza continua in famiglia di uno dei due coniugi comporta una riduzione di tali costi: vi è cioè un deficit di benessere che richiede una compensazione e che, a seconda del reddito, può variare dall'1 al 30 per cento. Questo problema è generalmente risolto attribuendo al coniuge a carico un coefficiente inferiore a 1. Alla presente relazione sono allegate alcune tabelle che illustrano la scelta fatta con la presente proposta di legge.
      Nel sistema vigente, la casalinga e gli altri familiari sono considerati «carichi detraibili» e i figli sono una semplice scelta individuale, mentre nella presente proposta di legge casalinghe e figli sono soggetti che partecipano al possesso del reddito familiare e, in particolare, i figli sono un investimento che si trasferisce, come bene, alla comunità e all'intera società. Di conseguenza è inevitabile che l'unità impositiva più opportuna sia la famiglia e non l'individuo, perché oggi più che mai è decisiva la struttura del consumo.
      Da alcune parti si sostiene che il problema sia la fornitura di servizi. Concordiamo che siano necessari più servizi, ma il quoziente familiare non è un sussidio paragonabile a un servizio, bensì uno strumento per una fiscalità più giusta e più equa. Esso, pertanto, non è contrattabile con un necessario e doveroso incremento dei servizi, con una migliore qualificazione degli stessi, con una maggiore flessibilità del lavoro e con obbligatori piani regolatori degli orari della città.
      L'introduzione del quoziente familiare – divisione di tutto il reddito familiare per la somma dei coefficienti attribuiti ai suoi componenti: 1 al primo percettore di reddito, al secondo e al terzo figlio; 0,65 al coniuge; 0,5 al primo figlio, ai figli successivi al terzo e alle altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile; applicazione a questo risultato delle aliquote vigenti e somma del numero delle parti – comporta un risparmio cospicuo per le famiglie e una contrazione delle entrate dello Stato. La soluzione non si può trovare aumentando le aliquote per tutti i contribuenti (a pressione fiscale media rimarrebbe invariata), ma va trovata nella lotta all'evasione e all'elusione, destinando le risorse recuperate al risanamento del bilancio, al sostegno del sistema produttivo e alla diminuzione della pressione fiscale.
      L'introduzione del quoziente familiare si colloca in questa prospettiva, da portare a termine nell'arco della presente legislatura, in occasione dell'annunciata riforma fiscale.
      Il quoziente familiare non cancella ma ridefinisce il sistema delle deduzioni e delle detrazioni, che dovrà essere definito in contemporanea alla riforma fiscale di cui al citato decreto-legge n. 98 del 2011.
      L'articolo 1, al comma 1, delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo per la revisione del trattamento tributario del reddito della famiglia; il comma 2 disciplina il procedimento per l'emanazione del decreto di cui al comma 1; il comma 3 definisce la data di decorrenza del provvedimento.
 

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      L'articolo 2 definisce il reddito familiare e le modalità con cui esso si calcola: quali sono i redditi che vengono tenuti in conto e quelli esclusi.
      L'articolo 3, al comma 1, individua le misure per la determinazione dell'imposta familiare: il reddito familiare è diviso per il numero risultante dalla somma dei coefficienti elencati; il comma 2 indica le modalità per calcolare l'imposta familiare; il comma 3 demanda al decreto legislativo il coordinamento con la disciplina degli oneri deducibili e delle detrazioni d'imposta e individua i princìpi e i criteri direttivi ai quali il Governo dovrà attenersi; il comma 4 abroga l'articolo 4, comma 1, lettera c), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, relativo ai redditi dei beni dei figli minori, soggetti all'usufrutto legale dei genitori; il comma 5 novella l'articolo 10, comma 2, del citato testo unico, stabilendo che i contributi previdenziali e assistenziali di cui al comma 1, lettera e), del medesimo articolo, sono deducibili se sostenuti relativamente alle persone indicate nell'articolo 433 del codice civile, appartenenti al nucleo familiare, anziché alle persone fiscalmente a carico.
      L'articolo 4, al comma 1, stabilisce un limite di reddito familiare oltre il quale non si applica il quoziente familiare, e al comma 2 prevede che il limite di reddito venga stabilito annualmente dalla legge di stabilità.
      L'articolo 5 stabilisce che il decreto legislativo di cui all'articolo 1 debba introdurre specifiche modalità di attribuzione di crediti ai nuclei familiari numerosi. La disciplina del nuovo istituto dei crediti dovrà essere coordinata con quella degli assegni familiari, di cui all'articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153.
      L'articolo 6 stabilisce che il decreto legislativo di cui all'articolo 1 riconosca la possibilità che al contribuente sia corrisposto il credito corrispondente alla differenza tra i crediti e le detrazioni complessivamente spettanti, da una parte, e l'imposta lorda, dall'altra.

Allegato 1

      F. Perali «Stime della povertà e scale di equivalenza. Il costo di mantenimento di un bimbo».
      Paper presentato al convegno della Commissione di indagine sull'esclusione sociale, Misure della povertà e politiche per l'inclusione sociale 2, Milano 19-20 novembre 2004.
      Le scale di equivalenza rispondono al quesito «qual è il livello di reddito aggiuntivo di cui una famiglia composta da due adulti ed un bambino ha bisogno rispetto ad una famiglia senza bambini, al fine di godere dello stesso livello di benessere economico».
      La stima delle scale di equivalenza assume una rilevanza particolare nei sistemi fiscali in cui l'unità impositiva dell'IRPEF è la famiglia e la tassazione del reddito familiare è effettuata per parti attraverso il calcolo del quoziente. L'aliquota è calcolata sul reddito equivalente che è il reddito familiare diviso per la scala di equivalenza familiare. Questo metodo incorpora il criterio di equità orizzontale che riconosce, a parità di reddito, che la famiglia più numerosa è relativamente più povera e corregge la distorsione implicita nei regimi a tassazione separata che penalizza i contribuenti con familiari a carico e le famiglie monoreddito.
      Il calcolo del costo del bambino si riferisce in genere al solo costo di mantenimento deducibile dalle spese per beni necessari quali le spese per l'alimentazione, la casa, i vestiti. È però importante riconoscere che il costo di mantenimento di un bambino è molto diverso dal costo contabile associato all'accrescimento del bambino o del costo di produzione. Questo tiene conto anche del valore del tempo investito dai genitori, dell'investimento sulla qualità del futuro dei figli e di altri costi relativi a spese non necessarie per i figli. Per questo motivo è naturale pensare che il costo di accrescimento di un figlio vari significativamente al variare del reddito. Mentre le stime del costo di mantenimento del

 

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bambino servono per operare confronti interpersonali e correggere stime di povertà e di ineguaglianza, le stime del costo di produzione del bambino possono essere impiegate per spiegare le scelte di fertilità.
      La ricerca – che si propone di dare un contributo all'aggiornamento della stima del costo di mantenimento dei figli attualmente adottata nella costruzione dell'indicatore delle condizioni socio-economiche che risale al 1985 – utilizza un concetto esteso di scale di equivalenza in quanto la sua misurazione tiene conto della grande eterogeneità tra famiglie in termini anche di stili di vita, delle diverse tecnologie familiari adottate per catturare le economie di scala e, almeno in linea teorica, delle diverse modalità di allocazione delle risorse all'interno della famiglia.
      Le scale in uso non riconoscono un peso diverso, in termini di necessità, alle diverse componenti familiari come, ad esempio, la differenza di età dei bambini; un secondo limite sta nell'assunzione di una divisione equa delle risorse familiari monetarie e di tempo tra i membri. Questo implica che i livelli di benessere e, conseguentemente di povertà, siano gli stessi per ogni componente. I livelli di benessere individuali sono stimabili a condizione che si conosca come sono distribuite le risorse all'interno della famiglia, vale a dire, nel caso in oggetto, quanto si spende per la componente adulta e quanto per i bambini. Possono di fatto verificarsi situazioni in cui esistono bambini «poveri» in famiglie ricche e bambini «ricchi» in famiglie povere. Se non si tiene conto delle modalità di condivisione delle risorse all'interno della famiglia si corre il rischio di escludere da forme di aiuto bambini che dovrebbero di fatto essere inclusi. Per esempio, la povertà dei bambini si misura tradizionalmente calcolando la proporzione di famiglie con bambini che sono al di sotto della linea di povertà, senza tenere conto dell'effettivo livello di benessere del bambino.
      Lo studio cerca di risolvere entrambi questi limiti stimando sia scale di equivalenza specifiche per ogni componente della famiglia in maniera da incorporare la differenza tra famiglie in modo più appropriato e di ottenere una più precisa misurazione della povertà e dell'ineguaglianza, sia la regola di condivisione delle risorse familiari (utilizzando un sistema di domanda completo basato sulla teoria collettiva e sull'informazione relativa al consumo di beni esclusivi quali il vestiario per adulti e per bambini). Data la conoscenza della regola di condivisione è possibile derivare sia una stima approssimativa del costo di accrescimento del bambino, sia i livelli di benessere e di povertà individuali.
      Utilizzando i bilanci familiari dell'ISTAT relativi al 2002, la ricerca stima i costi dei singoli componenti della famiglia allo scopo di rendere i livelli di reddito comparabili tra famiglie di diversa composizione e consentire analisi di povertà e di ineguaglianze più accurate.
      Gli indici del costo della caratteristica «presenza di uno o più bambini» sono stati calcolati per le tre classi di età 0-5, 6-13, 14-18, e per l'Italia del nord, del centro e del sud. La famiglia di riferimento è la coppia senza figli. Le famiglie costituite da due genitori e da un bambino di età compresa tra 0 e 6 anni richiedono 1,27 volte la spesa totale della coppia senza figli di riferimento per avere lo stesso livello di benessere. Un bambino di età inferiore ai 6 anni accresce i costi di una coppia di circa il 27 per cento e costituisce circa il 53 per cento del costo di un adulto equivalente. Un bambino di età compresa tra 6 e i 13 anni aumenta i costi di una coppia senza figli di circa il 30 per cento, mentre un bambino della classe di età superiore li accresce del 17 per cento, che corrisponde al 35 per cento rispetto ad un adulto equivalente.
      È interessante notare che tra le diverse regioni le differenze nella scala non sono economicamente significative ad eccezione del costo di un bambino di età inferiore ai 6 anni nel sud Italia, che è superiore rispetto alle altre macro regioni italiane.
 

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Allegato 2

      L'applicazione del quoziente familiare ha lo scopo di ristabilire un'equità orizzontale attraverso il riconoscimento e la non imponibilità delle spese sostenute dalla famiglia per il mantenimento del coniuge e dei figli, dando attuazione al precetto costituzionale di riconoscimento della famiglia.
      Il rapporto della Commissione di indagine sull'esclusione sociale riporta, tra i contributi presentati al convegno del 10-20 novembre 2004 (F. Perali, Stime della povertà e scale di equivalenza. Il costo di mantenimento di un bambino), le scale di equivalenza con il metodo di Engel allo scopo di rendere i livelli di reddito comparabili proponendo, con un'elaborazione che riguarda i bilanci familiari dell'ISTAT relativi all'anno 2002, la prima tabella (partendo dalla coppia senza figli posta al parametro 2,00) e considerando il numero dei figli, proponendo risultati coerenti con le evidenze empiriche e con le esperienze di altri Paesi.

N. figli minori    Quoziente di equivalenza
0 2,00
1 2,499
2 3,122
3 3,902

      Nell'elaborazione della presente proposta di legge sono stati attribuiti coefficienti diversi per i membri del nucleo familiare, e quindi la tabella di equivalenza dovrebbe essere rideterminata con i seguenti valori:

N. figli minori    Quoziente di equivalenza    
0 1,65
1 2,15
2 3,15
3 4,15

      L'applicazione delle scale di equivalenza porterebbe a una riduzione rilevante del gettito e quindi si pone il problema della sua messa a regime nel periodo medio. Nell'articolato si è scelto di demandare a un decreto legislativo l'individuazione della necessaria gradualità. Si può operare partendo da limiti di reddito più bassi per raggiungere il limite massimo individuato nel medio periodo; si privilegerebbe cioè un'estensione graduale iniziando dai redditi minori. In alternativa, in considerazione del costo della riforma, si potrebbe dare in una prima fase un peso ridotto ai quozienti familiari: 0,5 per il coniuge (e non 0,65), 0,25 per i figli a carico (in luogo di 0,5-1). In questo caso sarebbero immediatamente interessate tutte le famiglie che rientrano nei limiti di reddito familiare e la messa a regime sarebbe affidata all'innalzamento graduale dei coefficienti.

 

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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Il Governo è delegato ad adottare, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la revisione del trattamento tributario del reddito della famiglia, secondo i princìpi e criteri direttivi di cui alla presente legge.
      2. Il Governo trasmette, per il parere, lo schema di decreto legislativo di cui al comma 1, alla Commissione parlamentare prevista dall'articolo 17, terzo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, nella composizione stabilita dall'articolo 1, comma 4, della legge 29 dicembre 1987, n. 550. La Commissione parlamentare esprime il proprio parere entro due mesi dalla ricezione dello schema di decreto legislativo, indicando specificamente le eventuali disposizioni che non ritiene rispondenti ai princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge. Il Governo, nei successivi trenta giorni, esaminato il parere, trasmette nuovamente, con le osservazioni, lo schema di decreto legislativo alla Commissione parlamentare per il parere definitivo, che deve essere espresso entro quindici giorni.
      3. Le disposizioni del decreto legislativo di cui al comma 1 hanno effetto a decorrere dal 1o gennaio 2012.

Art. 2.

      1. Il reddito familiare, determinato secondo il metodo del quoziente familiare, è ottenuto sommando i redditi prodotti dai coniugi, non legalmente o effettivamente separati, dai figli legittimi o

 

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legittimati, naturali riconosciuti o adottivi, dagli affiliati e degli affidati, minori di età o perennemente invalidi al lavoro ovvero di età non superiore ai ventisei anni se studenti o dediti a tirocinio gratuito, nonché delle altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile purché conviventi e a condizione che non posseggano redditi propri di importo superiore a quello dell'assegno sociale vigente nell'anno di produzione del reddito. Non vengono considerati i redditi esclusi nella valutazione del diritto all'assegno sociale.
Art. 3.

      1. Il reddito familiare, determinato ai sensi dell'articolo 2, è diviso per la somma dei coefficienti attribuiti ai componenti della famiglia nelle seguenti misure:

          a) 1 per il primo percettore di reddito e per il secondo e terzo figlio;

          b) 0,65 per il coniuge;

          c) 0,5 per il primo figlio, per i figli successivi al terzo e per le altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile.

      2. L'imposta familiare è calcolata applicando al reddito così come determinato dal comma 1, le aliquote vigenti, comprese le detrazioni, e moltiplicando l'importo ottenuto per la somma dei coefficienti attribuiti ai componenti della famiglia.
      3. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 reca le disposizioni necessarie per il coordinamento con la disciplina degli oneri deducibili e delle detrazioni d'imposta, nonché per il coordinamento delle norme in vigore relative all'accreditamento, alla riscossione, alle sanzioni, al contenzioso e ad ogni altro adempimento

 

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connesso all'introduzione dell'imposizione secondo il metodo del quoziente familiare sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) dal reddito complessivo di ciascun componente della famiglia si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, gli oneri previsti dall'articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come da ultimo modificato dal comma 5 del presente articolo, ad eccezione degli oneri indicati nel comma 2, terzo periodo, dell'articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni;

          b) dall'imposta lorda complessiva della famiglia si detrae un importo pari al 19 per cento degli oneri sostenuti dalla stessa, previsti dall'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo. Si operano inoltre le detrazioni previste dall'articolo 16 del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, che devono essere rideterminate tenendo conto dei livelli di reddito della famiglia, e quelle relative al recupero del patrimonio edilizio, di cui all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, nonché le altre detrazioni stabilite da norme di legge non afferenti carichi di famiglia.

      4. La lettera c) del comma 1 dell'articolo 4 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, è abrogata.
      5. All'articolo 10, comma 2, secondo periodo, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre

 

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1986, n. 917, le parole: «fiscalmente a carico» sono sostituite dalle seguenti: «appartenenti al nucleo familiare».
Art. 4.

      1. Il trattamento fiscale determinato secondo il modello del quoziente familiare si applica a tutti i redditi familiari fino ad un ammontare pari a tre volte il reddito medio complessivo, rispettivamente, dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi. Oltre tale importo si applicano le modalità della tassazione su base individuale.
      2. La completa attuazione della disciplina relativa al trattamento tributario sulla base del quoziente familiare è portata a compimento in un arco temporale di cinque anni. Ai fini della progressiva attuazione della predetta disciplina, la legge finanziaria indica annualmente il livello massimo di reddito familiare cui applicare il trattamento del quoziente familiare e individua le risorse stanziate a tal fine.

Art. 5.

      1. Con il decreto legislativo di cui all'articolo 1, si provvede a introdurre specifiche modalità di attribuzione, ai nuclei familiari numerosi, di crediti in relazione alla partecipazione al nucleo familiare dei seguenti soggetti, per i quali non deve sussistere il possesso di redditi di importo superiore a quello dell'assegno sociale:

          a) coniuge;

          b) figli, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi, affidati e affiliati;

          c) ogni altra persona indicata nell'articolo 433 del codice civile che convive con il contribuente o percepisce assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria.

 

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Art. 6.

      1. Nel caso in cui i crediti e le detrazioni complessivamente spettanti alla famiglia sono superiori all'imposta lorda calcolata in base alle disposizioni del decreto legislativo di cui all'articolo 1, alla famiglia è riconosciuto un credito pari al massimo dell'importo relativo ai crediti per carichi familiari e agli altri eventuali crediti spettanti. Alla corresponsione dei crediti si provvede in sede di dichiarazione dei redditi.