• Testo ODG - ORDINE DEL GIORNO IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
S.9/02680/002 [Modifiche dell'istituto referendario]



Atto Senato

Ordine del Giorno 9/2680/2 presentato da DONATELLA PORETTI
martedì 17 maggio 2011, seduta n. 552

Il Senato,
in sede di esame del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 11 aprile 2011, n. 37, recante disposizioni urgenti per le commissioni elettorali circondariali e per il voto dei cittadini temporaneamente all'estero in occasione delle consultazioni referendarie che si svolgono nei giorni 12 e 13 giugno 2011
premesso che:
come sancito dall'articolo 1 della Costituzione repubblicana "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione",
considerato che:
la Costituzione prevede che il cittadino partecipi all'attività legislativa utilizzando diverse schede di voto: quelle propriamente elettorali, per scegliere i membri del Parlamento, dei Consigli regionali e delle amministrazioni locali; e quella referendaria, per correggere o cancellare le leggi sbagliate del Parlamento. Il voto referendario abrogativo di leggi, è la straordinaria invenzione dei Costituenti i quali, storicamente, hanno vissuto l'esperienza del regime fascista;
per più di vent'anni dall'adozione della Costituzione l'istituto referendario non viene attuato e che inizia il processo di snaturamento e svuotamento della Carta che vede i partiti impadronirsi del "sistema" politico e cancellare lo Stato di diritto;
la "convenzione antireferendaria" del sistema politico italiano si manifesta anzitutto con il ritardo con cui un istituto "rivoluzionario" come il Referendum trova attuazione: il Parlamento provvede a varare la legge applicativa del referendum solo il 25 maggio 1970. Tale "conquista" è il prezzo pagato alla Chiesa come riparazione preventiva all'approvazione della legge sul divorzio che da lì a poco sarebbe stata approvata;
con la legge attuativa del referendum, il Parlamento non si limita ad applicare il dettato costituzionale, introduce una serie di altri limiti extra-costituzionali - principalmente di tipo temporale - tra cui l'impedimento a votare sui referendum nell'anno precedente lo scioglimento delle Camere o nei sei mesi successivi alle elezioni politiche. Proprio in forza di queste norme restrittive, nel 1972, per la prima volta nella storia repubblicana (l'escamotage si ripete nel 1976 e nel 1987) si sciolgono anticipatamente entrambe le Camere per impedire la consultazione referendaria che potrà svolgersi solo due anni dopo. In questo lasso di tempo i partiti del cosiddetto "arco costituzionale" rappresentati in Parlamento si mobilitano per tentare di approvare proposte legislative, come quelle del liberale Aldo Bozzi, della indipendente di sinistra Tullia Carrettoni e del socialista Renato Ballardini che, modificando la legge sul divorzio, possano impedire lo svolgimento del referendum;
finalmente nel 1974 il referendum si svolge, registrando un'ampia partecipazione al voto (87,7%) e la maggioranza dei cittadini con quasi il 60 per cento dice "no". Nel periodo immediatamente successivo anche i partiti "vincitori" tornano a riproporre, ad esempio col deputato Pci Alberto Malagugini e altri, il divieto di fare referendum prima di tre anni dalla pubblicazione della legge da abrogare e ipotizzano che la consultazione referendaria venga sospesa per sei mesi nel caso alle Camere si esaminino provvedimenti legislativi "riguardanti la materia"; il perfezionarsi dell'opera di sterilizzazione dell'istituto referendario si ha però solo con la giurisprudenza della Corte costituzionale, a cui non la Costituzione, ma una successiva legge costituzionale ha demandato il compito di giudicare dell'ammissibilità dei referendum, ai sensi dell'elenco tassativamente circoscritto dall'articolo 75 secondo comma della Costituzione, che stabilisce che non possono essere sottoposte a referendum solo le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali;
con la sentenza n. 16 del 2 febbraio del 1978 si inaugura quindi la giurisprudenza anti-referendum e anti-Costituzione della Corte costituzionale. Nel giudicare l'ammissibilità di otto referendum radicali volti ad abrogare, tra l'altro, il Concordato tra Stato e Chiesa, la Corte si distacca da una lettura tassativa dei limiti previsti dall'articolo 75 per sostenere l'esistenza - sulla base di una lettura "logico-sistematica" delle norme costituzionali - di una miriade di ulteriori limiti, frutto di un'interpretazione estensiva di quelli espressamente enunciati dalla Costituzione, ravvisandone sempre di nuovi di carattere implicito;
nella stessa occasione il Comitato promotore dei referendum viene implicitamente riconosciuto come potere dello Stato e due mesi dopo, con un'ordinanza, ottiene il formale riconoscimento di soggetto competente a dichiarare definitivamente la volontà dei sotto scrittori. Tale riconoscimento non comporta però alcun potere sostanziale, in quanto esso si esaurisce al momento del voto referendario e non gli è riconosciuta alcuna legittimazione a preservarne l'esito da eventuali successivi travisamenti, ad esempio, parlamentari. Infatti, nel caso del referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, la Corte dichiara inammissibile il ricorso del Comitato promotore contro la normativa approvata successivamente dal Parlamento che di fatto lo reintroduce;
negli anni successivi la giurisprudenza perfezionerà un "complesso di ragioni di ammissibilità" talmente articolato da rendere tecnicamente impossibile soddisfarle tutte lasciando così il giudizio finale sulle leggi da abrogare non al popolo italiano ma al mero arbitrio della Corte. Tale situazione è efficacemente sintetizzata dal Presidente emerito della Corte costituzionale Livio Paladin che in tema di ammissibilità del referendum afferma che "l'unica certezza è l'incertezza";
nella storia repubblicana, a fronte dei 26 referendum validi, dei 20 che non raggiungono il quorum e degli referendum di fatto impediti da leggi sulla materia approvate in fretta e furia dal Parlamento, la Corte costituzionale boccia ben 48 quesiti referendari. La mannaia della Corte si abbatte su temi di grandissima rilevanza politica e civile, impedendo ai cittadini di pronunciarsi su Concordato tra Stato e Chiesa, Tribunali Militari, smilitarizzazione della Guardia di Finanza, modifica in senso uninominale delle leggi elettorali di Camera e Senato e del Csm, responsabilità civile dei magistrati, termini ordinatori e perentori, Servizio sanitario nazionale, pubblico registro automobilistico, patronati sindacali, cassa integrazione, ritenuta d'acconto, sostituto d'imposta, collocamento al lavoro, tempo determinato, part-time, lavoro a domicilio, pensioni di anzianità, monopolio Inail, carcerazione preventiva, legalizzazione delle droghe leggere;
il diritto costituzionale al referendum viene inoltre negato ai cittadini anche con il sovvertimento di esiti di consultazioni referendarie, in cui la volontà popolare si è espressa a stragrande maggioranza e in modo inequivocabile. Ad esempio, nel 1987 relativamente al referendum in tema di responsabilità civile del magistrato il "Sì" ottiene una percentuale dell'80 per cento. L'anno successivo il Parlamento approva una legge che di fatto introduce la completa irresponsabilità civile e personale del magistrato trasferendola allo Stato;
nel 1993 viene soppresso tramite referendum il ministero dell'agricoltura e abrogata la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, rispettivamente, con il 75 per cento e il 90 per cento dei voti validi. Quattro mesi dopo viene istituito il ministero per le politiche agricole e nel 1997, analogamente, il finanziamento pubblico dei partiti è reintrodotto attraverso il meccanismo volontario della destinazione del 4 per mille dell'Irpef. Il gettito effettivo è molto inferiore alle aspettative e, nel 1999, i partiti corrono ai ripari ripristinando il loro finanziamento pubblico attraverso i già esistenti rimborsi per le spese elettorali, quintuplicandoli. Identico sviluppo avrà l'abolizione del Ministero per il Turismo nonché sorte simile viene riservata al referendum sul maggioritario del 1993, sulla privatizzazione della Rai e sulle trattenute automatiche per l'iscrizione al sindacato del 1995 (reintrodotto dall'accordo bilaterale tra Confindustria e sindacati);
il tradimento parlamentare del voto popolare, spesso indiscutibilmente maggioritario, è la ragione principale della disaffezione dei cittadini alle consultazioni referendarie successive, alle quali fanno mancare il necessario quorum di partecipazione. Ai mancati raggiungimenti del quorum contribuisce anche la tecnica utilizzata dal Governo, anno dopo anno, di fissare lo svolgimento del voto referendario in date oggettivamente "balneari", cioè sempre più verso l'ultima domenica utile tra quelle che la legge dispone "in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno";
anche quando la maggioranza dei cittadini si reca alle urne, accade che il quorum non sia raggiunto sol perché alla sua determinazione concorrono anche elettori che sono morti o "dispersi". È il caso del referendum del 18 aprile 1999 sull'abolizione della quota proporzionale nella legge elettorale della Camera dei deputati, quando a decidere l'esito non sono gli oltre 21 milioni di italiani che si recano al voto e che si pronunciano al 91,5 per cento per il "Sì", ma i 150.000 voti mancanti al raggiungimento del quorum. A decidere l'esito del referendum è in realtà il computo di 2.351.306 cittadini italiani residenti all'estero, dei quali però solo 13.542 (lo 0,5% degli aventi diritto) hanno ricevuto effettivamente il certificato elettorale. La riprova dell'effettivo raggiungimento del quorum nel 1999 si ha l'anno successivo quando in vista del referendum del 21 maggio, a seguito di una iniziativa nonviolenta dei radicali, si ottiene la revisione straordinaria degli elenchi elettorali, in particolare di quelli dei residenti all'estero. Il risultato è la cancellazione da tali liste di oltre 350.000 persone tra deceduti e irreperibili. Se tale cancellazione fosse stata effettuata l'anno precedente, il quorum sul referendum sarebbe stato raggiunto e avremmo avuto un sistema pienamente uninominale nella legge elettorale della Camera dei deputati;
l'illegalità che connota le consultazioni referendarie è confermata e aggravata nel 2005, con il referendum sulla legge 40. In tale occasione, la previsione costituzionale di referendum abrogativo è materialmente cassata attraverso l'ammissione solo di quesiti parziali e indecifrabili e la bocciatura invece del chiarissimo quesito unico, totalmente abrogativo. Per di più, in tale occasione, la campagna referendaria avviene in aperta violazione di norme in materia di propaganda elettorale e, in particolare, dell'articolo 98 del Testo Unico delle leggi elettorali, che vieta ai ministri di qualsiasi culto di "indurre gli elettori all'astensione". Nel referendum sulla legge 40, infatti, dalle più alte gerarchie della Chiesa cattolica fino alle parrocchie dei paesi più sperduti durante la Messa, l'appello al non voto è ufficiale, ripetuto, documentato, veicolato da tutti i mezzi di informazione pubblici e privati;
in definitiva, l'istituto referendario così come disegnato dalla Costituzione repubblicana, è ormai distrutto. Agli italiani è concesso l'uso della "seconda scheda" solo in forma plebiscitaria e quando le componenti del Regime italiano lo scelgono;
Dal 1990 sui seguenti referendum è stato fatto mancare il quorum:
- 1990 con i 3 referendum sulla caccia, l'accesso dei cacciatori ai fondi privati e sull'uso dei pesticidi;
- 1997 con i 7 referendum sull'abolizione del potere del Ministro del tesoro nelle aziende privatizzate, l'abolizione dei limiti per essere ammessi al servizio civile, di nuovo l'abolizione della possibilità per i cacciatori di entrare nei fondi altrui, l'abolizione del sistema di progressione delle carriere dei magistrati, l'abolizione dell'Ordine dei giornalisti, l'abolizione della possibilità di incarichi extragiudiziali per i magistrati, la soppressione del Ministero per le politiche agricole;
- 1999 sull'abolizione della quota proporzionale nell'elezione della Camera dei deputati;
- nel 2000 con i 7 referendum relativi all'eliminazione del rimborso delle spese elettorali e referendarie, di nuovo l'abolizione della quota proporzionale nell'elezione della Camera, l'abolizione del voto di lista nell'elezione del Consiglio superiore della magistratura, separazione delle carriere tra magistratura inquirente e quella giudicante, di nuovo abolizione sugli incarichi extragiudiziali dei magistrati, abrogazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, abrogazione della possibilità di trattenute associative e sindacali tramite gli enti previdenziali;
- nel 2003 i 2 referendum sulla reintegrazione dei lavoratori e sulla servitù coattiva delle condutture elettriche;
- nel 2005 i 4 referendum sulla procreazione assistita; nel 2009 i 3 referendum elettorali.
considerato infine che:
al fine di raccogliere le firme necessarie a promuovere un quesito referendario occorrono le sottoscrizioni di almeno 500.000 elettori;
le firme stesse debbono essere autenticate da un notaio o da un giudice di pace o da un cancelliere della pretura, del tribunale o della Corte di appello nella cui circoscrizione è compreso il comune dove è iscritto, nelle liste elettorali, l'elettore la cui firma è autenticata, ovvero dal giudice conciliatore, o dal segretario di detto comune. Per i cittadini elettori residenti all'estero l'autenticazione è fatta dal console d'Italia competente. L'autenticazione deve recare l'indicazione della data in cui avviene e può essere anche collettiva, foglio per foglio; in questo caso, oltre alla data, deve indicare il numero di firme contenute nel foglio;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 contenente "Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 2001;
il regime degli atti d'iniziativa dei singoli cittadini, nelle operazioni preliminari alle consultazioni elettorali versa in una sedimentazione normativa deleteria e che una serie di previsioni occasionali ha prodotto vere e proprie forme di "negozio delle autenticazioni" in cui i soggetti titolati spesso si prestano a forme di lassismo o di connivenza;
le prestazioni del notaio, del cancelliere, del giudice conciliatore e del segretario comunale, sono dovuti gli onorari stabiliti dall'articolo 20, comma quinto, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e dalla tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604 e che prassi in uso in diverse parti del territorio nazionale, tra i diversi soggetti certificatori e persino nella stessa competizione elettorale creano gravi disparità tra i soggetti promotori organizzati e coloro che invece si avvalgono prevalentemente di volontari o militanti,
impegna il Governo:
ad adottare le opportune iniziative affinché si addivenga ad una modifica dell'articolo 75 della Costituzione, che prevede l'abolizione del quorum con l'obbiettivo di restituire al Cittadini il compito di vigilare sul lavoro delle istituzioni attraverso la possibilità di emendare le decisioni del potere legislativo;
ad adottare misure volte a modificare la legge 25 maggio 1970, n. 352, "Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo" e in particolare dell'articolo 31 che stabilisce che "non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere medesime";
nonché ad adottare le opportune iniziative, anche legislative, volte a comprendere un apposito disegno di legge che comprenda i seguenti soggetti tra coloro i quali sono abilitati all'autentica delle sottoscrizioni ai quesiti referendari: Deputati; Senatori; Consiglieri regionali, provinciali, comunali o circoscrizionali; notaio; giudice di pace; cancelliere o collaboratore delle cancellerie delle Corti di appello o dei tribunali; segretario delle procure della Repubblica; presidente delle province; sindaco di Comune; assessore comunale o provinciale; segretario comunale o provinciale; funzionario incaricato dal sindaco o dal presidente della provincia; consigliere provinciale o consigliere comunale che abbia comunicato la propria disponibilità, rispettivamente, al presidente della provincia e al sindaco.
(numerazione resoconto Senato G101)
(9/2680/2)
PORETTI, PERDUCA