Testo DDL 2407
Atto a cui si riferisce:
S.2407 Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di divieto di concessione di benefici penitenziari e di regime penitenziario differenziato
Legislatura 16º - Disegno di legge N. 2407
Senato della Repubblica |
XVI LEGISLATURA
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N. 2407
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DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa dei senatori BRICOLO, MAURO, BODEGA, MAZZATORTA, ADERENTI, BOLDI, CAGNIN, DIVINA, Paolo FRANCO, Alberto FILIPPI, Massimo GARAVAGLIA, LEONI, MARAVENTANO, MONTANI, MONTI, MURA, PITTONI, RIZZI, STIFFONI, TORRI, VACCARI, VALLARDI e VALLI COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 27 OTTOBRE 2010 Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di divieto
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Onorevoli Senatori. – Recenti episodi di cronaca hanno posto in luce l’urgente necessità di porre mano all’attuale ordinamento penitenziario al quale ormai da più parti viene rimproverato un eccessivo garantismo e un’ingiustificata tutela dei detenuti a scapito delle esigenze di tutela sociale proprie dell’esecuzione penitenziaria. E tale urgente intervento può raggiungere nell’immediato l’effetto di rassicurare l’opinione pubblica sgomenta, ribadendo in modo chiaro la particolare gravità dei delitti efferati e l’importanza dei beni aggrediti. Una politica razionale non può certo ignorare quest’esigenza di rassicurazione collettiva e di rafforzamento della coscienza morale e sociale dei consociati, che rappresenta un fattore ineliminabile della prevenzione generale dei reati.
Con l’articolo 1 viene previsto un severo sbarramento alla concessione dei benefici penitenziari per i condannati per delitti gravissimi. Si tratta dei delitti di cui all’articolo 575 del codice penale quando concorrono talune delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 576 del codice penale. Si intende con tale articolo ribadire la doverosità di espiazione della sanzione di carattere detentivo non solo per ragioni connesse alla funzione afflittiva della pena detentiva ma anche per rendere efficace e serio il percorso rieducativo del condannato. La quantità di pena detentiva in carcere espiata per poter accedere ai benefici viene fissata nei tre quarti della condanna inflitta o in caso di ergastolo in almeno 26 anni. Il condannato per tali delitti non deve quindi poter accedere immediatamente, come purtroppo accade oggi, alla fruizione dei benefici penitenziari. La percezione ormai sempre più diffusa tra i cittadini della mancata esecuzione della pena carceraria comminata dal giudice penale genera nel comune sentire un senso di diffusa insicurezza sociale al quale la disposizione contenuta nell’articolo l intende dare una prima risposta, in attesa di una radicale riforma dell’esecuzione penale che deve porre l’esecuzione penitenziaria al centro della fase esecutiva della pena. Va inoltre considerato l’effetto deterrente rispetto alla commissione di tali reati gravissimi che la minaccia della pena e la sua effettiva applicazione ed esecuzione in precedenti casi analoghi esplica sui consociati oltre che l’effetto che la concreta irrogazione ed esecuzione della pena carceraria provoca al condannato nel senso di evitarne la recidiva.
Attualmente esiste un’esecuzione penitenziaria omogenea e indifferenziata con modalità di esecuzione uguali per tutti i detenuti senza distinzione tra detenuti responsabili di reati comuni anche gravi o gravissimi. Solo con riferimento a detenuti per reati di stampo mafioso o terroristico viene diversificato il trattamento penitenziario. Con il disegno di legge si intende sostituire all’attuale «doppio binario» nelle modalità di espiazione della pena carceraria, nelle modalità di esecuzione della sanzione di tipo detentivo, un «triplo binario» distinguendo tra i detenuti responsabili di reati comuni, i detenuti responsabili di omicidi gravissimi ed efferati ed i detenuti responsabili di reati di stampo eversivo o mafioso. Accanto a un regime penitenziario comune, verrà introdotto quindi un nuovo regime rigido con carceri ad hoc (sul modello del regime di carcere duro per i terroristi ed i mafiosi previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354), un trattamento penitenziario di rigore. Il triplo binario mira alla diversificazione del trattamento dei detenuti in ragione del differente grado di pericolosità sociale o criminale. La pericolosità sociale deriva dal titolo di reato commesso e riguarda detenuti che, avendo commesso delitti di omicidio particolarmente efferati, si presumono dotati di un elevato grado di pericolosità sociale. Le prescrizioni rivestono carattere sanzionatorio-afflittivo mirando ad attuare il valore della funzione rieducativa della pena. Si intende aggravare il contenuto afflittivo della sanzione in esecuzione in correlazione con una pericolosità qualificata del detenuto desunta dalla sua condotta in libertà e al tempo stesso vengono valorizzate le finalità di tutela sociale proprie dell’esecuzione penale. L’articolo 2 prevede pertanto che possa essere sospeso l’ordinario trattamento e di fatto adottato un trattamento di rigore nei confronti dei detenuti per delitti gravissimi che oltre a destare particolare allarme sociale per l’efferatezza e la crudeltà con la quale sono stati commessi determinano delle esigenze imprescindibili di maggiore sicurezza della collettività. Si tratta di quello che, con terminologia giornalistica viene spesso denominato «carcere duro per mafiosi». Come è noto la Corte costituzionale ha stabilito che le differenziazioni di trattamento sono ammissibili a due condizioni: ogni provvedimento negativo incidente sul regime penitenziario del detenuto deve conseguire ad una condotta addebitabile al condannato; in nessun caso la finalità di difesa sociale propria della pena può spingersi sino al punto di rendere lecito il pregiudicare la finalità rieducativa della stessa (sentenza n. 306 dell’8 luglio 1993). Riteniamo che entrambe le condizioni siano garantite dalla disposizione contenuta nel nuovo articolo 41-ter dell’ordinamento penitenziario. Da un lato il nuovo regime penitenziario riguarderà detenuti responsabili di delitti che hanno generato particolare allarme sociale e che vanno pertanto estromessi dal contesto dei rapporti sociali; dall’altro lato effettive e serie opportunità rieducative possono esserci solo laddove il detenuto si sottoponga ad un programma terapeutico individualizzato. Il condannato per delitti efferati può rientrare nel contesto della comunità civile dopo aver scontato la pena carceraria per almeno tre quarti o per almeno 26 anni e al termine di un programma terapeutico riabilitativo che deve essere obbligatoriamente eseguito durante la fase di espiazione della pena detentiva. Si sottolinea inoltre l’opportuno isolamento di criminali che, in relazione all’effetto mediatico conseguente ai delitti da loro commessi, acquisiscono una notorietà basata sulla spettacolarizzazione delle loro gesta criminali con il rischio che gruppi di fanatici enfatizzino le condotte delittuose. Con questo provvedimento si intende anche disintegrare l’effetto emulativo che è conseguente alla mitizzazione di questi criminali che, pur essendosi macchiati di delitti efferati e disumani, sono spesso diventati catalizzatori di giovani fanatici con effetti addirittura criminogeni.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354)
1. All’articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. I condannati per i delitti di cui agli articoli 289-bis, 605 e 630 del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato non sono ammessi ad alcuno dei benefici previsti dalla presente legge se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell’ergastolo, almeno ventisei anni»;
b) dopo il comma 4 è inserito il seguente:
«4-bis. I condannati per il delitto di cui all’articolo 575 del codice penale, quando ricorrano una o più delle circostanze aggravanti previste dagli articolo 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, non sono ammessi ad alcuno dei benefici previsti dalla presente legge se non abbiano effettivamente espiato in istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati in aree insulari, almeno i tre quarti della pena irrogata o, nel caso dell’ergastolo, almeno ventisei anni».
(Situazioni di grave allarme sociale)
1. Alla legge 26 luglio 1975, n. 354, dopo l’articolo 41-bis è inserito il seguente:
«Art. 41-ter. - (Situazioni di grave allarme sociale emergenti nella società civile) – 1. Qualora ricorrano gravi motivi di sicurezza pubblica con riferimento a taluni delitti che hanno destato particolare allarme sociale per l’efferatezza e la crudeltà con cui sono stati commessi, anche a richiesta del Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia ha la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per i delitti di cui all’articolo 575 del codice penale, quando ricorranno una o più delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1 del codice penale, l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di sicurezza pubblica. La sospensione comporta le restrizioni necessarie per assicurare maggiore sicurezza alla collettività, per limitare i collegamenti con la comunità sociale e le persone offese dal delitto e per perseguire la rieducazione del detenuto attraverso uno specifico ed individualizzato programma di recupero terapeutico in carcere.
2. Il provvedimento emesso ai sensi del comma 1 è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente. Il provvedimento medesimo ha durata pari a cinque anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a quattro anni. La proroga è disposta sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’articolo 80, laddove perdurino le esigenze di difesa sociale tenuto conto anche degli esiti conseguiti dal trattamento penitenziario. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la pericolosità sociale del detenuto o dimostrare il venir meno delle esigenze preventive delle misure adottate.
3. I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di stabilimenti penitenziari a loro esclusivamente dedicati collocati in aree insulari o, qualora non sussistano le condizioni per l’espiazione della pena detentiva in tali stabilimenti, in apposite sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto penitenziario. La sospensione delle normali regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 1 prevede:
a) l’adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna;
b) la determinazione dei colloqui nel numero di uno ogni due mesi. I colloqui vengono sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente ai sensi del secondo comma dell’articolo 11; solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente ai sensi del secondo comma dell’articolo 11, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione. I colloqui sono comunque videoregistrati. Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai colloqui con i difensori con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di due volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari;
c) la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno;
d) l’esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati;
e) la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia;
f) la limitazione della permanenza all’aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a due persone, ad una durata non superiore ad un’ora al giorno.
4. Il detenuto o l’internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l’applicazione del regime di cui al comma 1, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il procedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento
5. Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 5, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento. Il procuratore di cui al comma 2, il procuratore generale presso la corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento ed è trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Se il reclamo viene accolto, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 1, deve, tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo.
6. Per la partecipazione del detenuto o dell’internato all’udienza si applicano le disposizioni di cui all’articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.
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