• Testo DDL 1676

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Atto a cui si riferisce:
S.1676 Abolizione dell'Ordine dei giornalisti e istituzione della carta d'identità professionale del giornalista professionista





Legislatura 16º - Disegno di legge N. 1676


 
 

Senato della Repubblica

XVI LEGISLATURA

 

N. 1676
 
 
 

 

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori PORETTI, BONINO e PERDUCA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 15 LUGLIO 2009

Abolizione dell’Ordine dei giornalisti e istituzione della carta d’identità professionale del giornalista professionista

 

Onorevoli Senatori. – «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», dispone l’articolo 21 della Costituzione. Ma una Costituzione materiale si è imposta, anno dopo anno, al di là e contro la Carta fondamentale, insinuandosi nella legislazione ordinaria fino a rendere lettera morta i princìpi – complementari e irrinunciabili perché un ordinamento possa dirsi democratico – della libertà di informare e del «conoscere per deliberare». Al punto che il Rapporto 2005 sulla libertà di stampa compilato da Reporters sans frontières pone l’Italia al quarantaduesimo posto, superata da Costarica, Mali, Giamaica, Bosnia, Tobago, Capo Verde e Namibia.

    Già nel 1945, dalle colonne di Risorgimento liberale, Luigi Einaudi aveva levato la sua voce contro l’istituzione di un Ordine dei giornalisti: «L’albo obbligatorio è immorale, perché tende a porre un limite a quel che limiti non ha e non deve avere, alla libera espressione del pensiero. Ammettere il principio dell’albo obbligatorio sarebbe un risuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti». Una previsione, quella del primo Presidente della Repubblica, che trova drammatico riscontro nella realtà odierna.
    La legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, che qui si intende abrogare, ha garantito, contro la Costituzione, non la libertà «di» stampa di tutti i cittadini, ma la libertà «della» stampa, intesa come «corporazione» giornalistica. Caduto il regime fascista, la sostanza strutturale è rimasta immutata: la corporazione ha preso il nome di Ordine. Laddove, secondo il dettato costituzionale, avrebbe dovuto essere consentito a tutti i cittadini l’esercizio della libertà di stampa, la legge 3 febbraio 1963, n. 69, ha stabilito che «nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’albo professionale».
    Come può essere considerato, se non effetto di una bardatura corporativa a difesa di privilegi di casta, il vero e proprio percorso di guerra che chi intenda intraprendere la professione di giornalista deve affrontare prima di arrivare all’esame? Una professione, a tutti gli effetti, non libera, nel momento in cui essere riconosciuto praticante (e avere quindi titolo di ammissione all’esame) è spesso frutto di un negoziato politico: lottizzazione partitocratica, familismo, clientela sono la regola. Proprio come sono la regola – e gli scandali che periodicamente si ripetono non mancano di rammentarcelo – le raccomandazioni al momento del cosiddetto concorso di esame.
    Nemmeno la nascita, negli ultimi anni, di numerose scuole di giornalismo, la cui frequentazione biennale è sostitutiva del periodo di praticantato presso un editore, è valsa a migliorare la situazione: spesso le stesse scuole si trasformano in una sorta di diplomificio, dove «acquistare» l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti professionisti.
    Con la soppressione dell’Ordine prevista dal disegno di legge che qui si illustra, viene a cadere un’anomalia italiana all’interno dell’Unione europea e si restituisce piena dignità professionale a chi svolge effettivamente la professione di giornalista. L’articolo 2 istituisce infatti la «carta di identità professionale del giornalista» valida fino al momento in cui l’attività giornalistica cessa, abolendo da una parte la qualifica (altrove sconosciuta) di «pubblicista», e dall’altra lo status sociale vitalizio, indipendente dall’esercizio della professione, di «giornalista professionista».
    Cessa così la commistione fra giornalisti e lobbisti, vale a dire funzionari redattori di uffici stampa o pubbliche relazioni: identificazione pericolosa per chi svolge un’attività di giornalista legata a valori costituzionalmente protetti; ma, d’altra parte, implicitamente offensiva per chi si vede costretto a mascherare la propria attività di informatore di parte, che è pienamente legittima all’interno di meccanismi di mercato chiari e rigorosi.
    In questo disegno di legge non viene previsto un periodo di praticantato, visto che l’apprendistato professionale è stato di fatto cancellato nella vita delle redazioni proprio dalla legge attualmente in vigore e sostituito da lavoro nero, sottopagato e privo di diritti.
    Con l’istituzione della «carta d’identità del giornalista» si intende, infine, impedire ogni assurda discriminazione fra redattori di quotidiani da una parte e redattori di emittenti radiofoniche o televisive, di agenzie e di periodici specializzati dall’altra, indipendentemente dal fatto che i suddetti mezzi di comunicazione abbiano diffusione per via tradizionale o telematica, salvaguardando in tal modo le forme più moderne di accesso alla professione.

 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. La legge 3 febbraio 1963, n. 69, e il relativo regolamento di esecuzione, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1965, n. 115, sono abrogati.

Art. 2.

    1. È istituita la carta d’identità professionale del giornalista, di seguito denominata «carta d’identità professionale», ai cui titolari si applicano le disposizioni adottate in favore dei rappresentanti della stampa dalle autorità amministrative e qualsiasi altra facilitazione prevista per chi svolga attività di giornalista professionista.

Art. 3.

    1. Possono ottenere la carta d’identità professionale i giornalisti professionisti. Ai fini della presente legge, per «giornalisti professionisti» si intendono:

        a) i soggetti che esercitano come occupazione principale, regolare e retribuita, l’esercizio della professione di giornalista in una pubblicazione quotidiana o periodica, in un’emittente radiofonica o televisiva o in un’agenzia di stampa a diffusione prevalentemente o esclusivamente telematica;

        b) i giornalisti liberi che, senza essere al servizio di una determinata pubblicazione, emittente o agenzia, esercitano l’attività giornalistica come occupazione principale e regolare, ricavandone le principali risorse necessarie alla propria esistenza;
        c) i fotoreporter, cineoperatori e reporter-cameramen che operano come giornalisti professionisti secondo i criteri di cui alle lettere a) e b);
        d) i giornalisti italiani residenti all’estero corrispondenti regolari di pubblicazioni, emittenti o agenzie italiane;
        e) i giornalisti stranieri o apolidi domiciliati in Italia che hanno un’occupazione giornalistica regolare.

Art. 4.

    1. Presso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è istituito il registro dei giornalisti.

    2. I soggetti interessati al rilascio della carta di identità professionale inviano al registro di cui al comma 1 la documentazione attestante il possesso dei requisiti di cui all’articolo 3. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rilascia la carta di identità professionale ai soggetti che ne abbiano fatto richiesta e che, sulla base della predetta documentazione, risultano essere in possesso dei requisiti di cui al medesimo articolo 3 da almeno un anno dalla data di invio della documentazione medesima. La carta di identità professionale è rilasciata entro un mese dalla data della richiesta. Qualora la documentazione sia insufficiente, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con decisione motivata, respinge la richiesta. La richiesta che può essere rinnovata decorsi tre mesi da ogni reiezione.

Art. 5.

    1. La carta di identità professionale dev’essere rinnovata ogni tre anni, e resta valida sino alla data di cessazione dei requisiti di cui all’articolo 3. Entro sei mesi successivi a tale data, il titolare è tenuto a comunicare la cessazione dei requisiti di cui all’articolo 3 all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il titolare della carta di identità professionale decade da ogni beneficio connesso al possesso della carta medesima a decorrere dalla data di cui al primo periodo del presente comma.


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