• Testo DDL 1000

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Atto a cui si riferisce:
S.1000 Contrasto alla criminalità organizzata e all'infiltrazione mafiosa nell'economia





Legislatura 16º - Disegno di legge N. 1000


 
 

Senato della Repubblica

XVI LEGISLATURA

 

N. 1000
 
 
 

 

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori CASSON, FINOCCHIARO, ZANDA, LATORRE,
ADAMO, CAROFIGLIO, CHIURAZZI, D’AMBROSIO, DELLA MONICA, GALPERTI, INCOSTANTE, LUMIA, MARITATI e SERRA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L’8 AGOSTO 2008

Disposizioni in materia di contrasto alla criminalità organizzata
e all’infiltrazione mafiosa nell’economia

 

Onorevoli Senatori. – La criminalità organizzata costituisce oggi uno dei problemi della cui soluzione la politica deve farsi carico con assoluta priorità, al fine di contrastare una forma di violenza particolarmente efferata, che rappresenta tra l’altro uno degli ostacoli principali allo sviluppo di molte regioni, soprattutto ma non solo meridionali, del nostro Paese. Infatti, accanto a sodalizi criminali di più recente formazione, continuano ad operare, con una forza pervasiva crescente, associazioni di tipo mafioso che ancora oggi controllano il territorio di molte aree del Mezzogiorno, con forme oppressive per la società civile, come il controllo degli appalti e delle opere pubbliche, la richiesta del «pizzo» e il ricorso all’usura. Nonostante i pur numerosi provvedimenti ablativi disposti sinora in relazione a beni riconducibili a tali organizzazioni, esse dispongono tuttora di ingenti capitali e sono capaci di «inquinare» i diversi settori dell’economia, infiltrandosi in profondità nel tessuto sociale e in modo tale da bloccare lo sviluppo economico e sociale del Paese, violando per di più il diritto dei cittadini alla libertà dell’iniziativa economica, sancito dall’articolo 41 della Costituzione.

    In ragione della estesa rete di contatti intessuta dai clan mafiosi, essi possono contare sulla protezione, sul sostegno e sulla connivenza di strati della popolazione, estendendo così il loro controllo sull’economia e sulla vita sociale di varie parti del Paese, accrescendo progressivamente la loro presenza anche nelle regioni settentrionali. Né va sottovalutata la crescente intensificazione dei rapporti tra le varie mafie italiane e tra queste e le numerose organizzazioni criminali straniere operanti in Italia e all’estero, come pure dimostrato dall’attenzione rivolta, soprattutto negli ultimi anni, dagli organismi internazionali e comunitari al contrasto al crimine organizzato. La rilevanza che questo tema ha assunto nell’agenda politica internazionale ha ad esempio indotto l’ONU ad adottare, nella Conferenza di Palermo del 2000, un’apposita convenzione – ratificata dall’Italia ai sensi della legge 16 marzo 2006, n.  146, – sul crimine organizzato transnazionale, proprio al fine di combattere quei sodalizi criminali che operano sullo scenario internazionale, avvalendosi della connivenza e della complicità di una fitta rete di associazioni criminali presenti nei diversi Paesi e sfruttando in tal senso la facilità di comunicazioni e contatti resa possibile dalla globalizzazione e, per quanto concerne l’Europa, dall’apertura delle frontiere.
    Tuttavia, nonostante queste importanti misure di cooperazione internazionale e di armonizzazione delle normative interne, assunte in sede sovranazionale, è compito dei singoli Stati adottare norme idonee a contrastare il potere crescente delle organizzazioni criminali, adattandole alle peculiarità del contesto di riferimento. Su questo versante spetta quindi allo Stato italiano affrontare il problema del crimine organizzato nella consapevolezza delle peculiarità che caratterizzano il nostro contesto sociale, potenziando le norme che hanno consentito sinora di conseguire importanti vittorie sul terreno della lotta ai sodalizi criminali e in particolare alle mafie. E ciò è tanto più importante oggi non solo in ragione dei tanti successi riportati dalle forze dell’ordine e dalla magistratura nell’ambito della lotta alle mafie – con la cattura di boss da tempo latitanti e il correlativo accertamento delle responsabilità di ciascuno – ma anche e soprattutto perché è la stessa società civile che sta dimostrando una capacità di reazione straordinaria nei confronti delle associazioni mafiose. Si pensi in tal senso all’impegno dell’associazionismo antiracket organizzato dalla FAI guidata da Tano Grasso dell’«Associazione Libera» con in testa don Ciotti, dei giovani di «Addio Pizzo», dell’Associazione industriale siciliana guidata da Ivan Lo Bello e Antonello Montante; al lavoro educativo di tanti operatori della scuola con seri progetti di educazione alla legalità e di studio; alla ricerca e alle analisi di centri studi come il Centro Impastato o le Fondazioni intitolate a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; all’informazione specializzata di «Antimafia 2000», «Narcomafie» e «Casablanca».
    Se quindi è la società civile che sta consolidando sempre di più la cultura dell’antimafia, lo Stato non può sottrarsi al compito che gli è proprio, di combattere le associazioni criminali con gli strumenti del controllo di legalità, della prevenzione e dell’accertamento dei reati. Perché la lotta alla mafia, come diceva Giovanni Falcone, si combatte a Palermo, ma si vince a Roma; deve cioè poter contare sull’appoggio delle istituzioni.
    In questo senso, come può evincersi dai lavori svolti dalla Commissione antimafia nella XV legislatura, il contrasto al crimine organizzato richiede di intervenire su alcuni nodi essenziali della normativa in materia, che si è rivelata carente o lacunosa soprattutto sul terreno della prevenzione dei fenomeni di infiltrazione mafiosa nel tessuto socio-economico e della sottrazione ai sodalizi criminali delle risorse finanziarie e dei beni patrimoniali in loro possesso, al fine di indebolirne l’azione e di promuovere, per converso, la destinazione sociale di tali beni.
    A tal fine, il presente disegno di legge propone, in una prospettiva integrata e organica di contrasto al crimine organizzato, disposizioni in materia di destinazione sociale dei beni confiscati; prevenzione dell’infiltrazione mafiosa in appalti pubblici e nel commercio; responsabilità da reato degli enti; misure di protezione per i collaboratori e i testimoni di giustizia; elusione delle prescrizioni di cui all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario, di cui alla legge 26 luglio 1975, n.  354) oltre a talune modifiche alle disposizioni del codice penale in materia di associazione per delinquere.
    L’articolo 1 reca talune modifiche alle norme di cui alla legge 31 maggio 1965, n.  575, in materia di destinazione dei beni confiscati, volte ad accelerare la procedura di assegnazione e destinazione, soggetta a precise scansioni temporali dettate da termini perentori ed al coinvolgimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Presidente della regione e della provincia, nonché del sindaco del comune ove si trova il bene confiscato, i quali possono presentare istanza di assegnazione entro trenta giorni dalla comunicazione, da parte del prefetto, dell’avvenuta acquisizione al patrimonio dello Stato del bene confiscato.
    Nel prevedere un regime differenziato per le somme di denaro, i beni immobili e quelli aziendali, si dispone inoltre che i proventi derivanti dall’affitto, dalla vendita o dalla liquidazione di questi ultimi siano versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati in apposito fondo e destinati:

        a) alla gestione degli altri beni confiscati, nonché ai pagamenti in favore dei terzi che vantino diritti sui beni confiscati;

        b) al risarcimento delle vittime dei reati, nei casi e nei modi previsti dalla legge;
        c) al Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e per le vittime dell’usura;
        d) al risanamento delle aziende confiscate in crisi, di cui non siano stati disposti la liquidazione o il fallimento;
        e) alle spese per le indennità da corrispondere al personale di polizia giudiziaria impegnato in indagini in materia di criminalità organizzata, nonché all’acquisto di mezzi necessari per le medesime indagini.

    Tali finalità consentono di realizzare pienamente quella destinazione a fini sociali che rappresenta il dato più innovativo della legislazione antimafia, consentendo di restituire i proventi di reato o comunque i beni nella disponibilità dei sodalizi criminali, alla collettività, cui sono stati sottratti.

    L’articolo 2 introduce, l’articolo 41-ter nell’ordinamento penitenziario di cui alla legge 26 luglio 1975, n.  354; esso contiene, una norma incriminatrice delle condotte idonee a consentire ai detenuti o agli internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della medesima legge di comunicare con l’esterno, eludendo le prescrizioni allo scopo previste, ovvero a stabilire o mantenere collegamenti con associazioni a delinquere di tipo mafioso, terroristico o eversivo. Il comma 2 dell’articolo 41-ter prevede inoltre una circostanza aggravante, ad efficacia indipendente, relativa alle ipotesi in cui le condotte di cui al comma 1 siano caratterizzate da un particolare disvalore in quanto realizzate da agenti qualificati – come pubblici ufficiali o avvocati – in violazione quindi, oltretutto, dei rispettivi doveri. Tali misure appaiono quindi particolarmente idonee a contrastare un fenomeno purtroppo di sempre maggiore verificazione, quale il mantenimento dei contatti, anche dal carcere, tra detenuti e organizzazioni criminali.
    L’articolo 3 introduce talune modifiche al codice degli appalti di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in materia di prevenzione di infiltrazioni mafiose in appalti pubblici, tali da introdurre l’obbligo di denuncia di tentativi di estorsione o condizionamento tra i requisiti di ordine generale, con il correlativo adeguamento del regolamento e dei capitolati di lavori pubblici, servizi e forniture. Si introducono altresì misure tese a garantire che tutti i pagamenti o le transazioni finanziarie relative ad affidamenti e sub-affidamenti siano effettuate tramite intermediari autorizzati, in modo che ne sia garantita la tracciabilità sulla base di idonea documentazione, con esclusione di cessioni del credito o del debito a terzi, sotto qualsivoglia forma, e di pagamenti con assegni liberi, nonché di pagamenti in contanti per somme superiori a 2.000 euro, con divieto di frazionare i pagamenti di operazioni unitarie. In caso di inosservanza, si dispone l’esclusione dell’aggiudicatario dalla successiva ammissione a procedure ristrette della medesima stazione appaltante, potendosi anche richiedere – quale sanzione di natura civilistica – la risoluzione dei contratti di affidamento e di sub affidamento.
    Misure affini sono previste, in materia di prevenzione delle infiltrazioni mafiose nel settore del commercio, dall’articolo 4, che modifica talune norme del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, al fine di contrastare ogni forma di omertà o connivenza con la mafia, sancendo in capo agli imprenditori e agli esercenti attività commerciali un obbligo di denuncia di eventuali tentativi di estorsione o infiltrazione mafiosa. Tali disposizioni, che traducono in norme i comportamenti virtuosi tenuti da molti imprenditori siciliani anche di recente, costituiscono l’attuazione del principio solidaristico sotteso al precetto di cui all’articolo 41 della Costituzione, che nel sancire la libertà dell’iniziativa economica privata, vieta che essa si svolga in maniera tale da contrastare con l’utilità sociale o da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
    L’articolo 5 estende le norme di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità da reato degli enti, ai casi di realizzazione, nell’interesse della persona giuridica, di delitti di criminalità organizzata, disponendosi nei casi più gravi – quando cioè l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di tali reati – finanche la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività. Tale modifica appare particolarmente importante in ragione degli ottimi risultati che l’applicazione delle norme di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001 ha permesso di conseguire, bucando lo schermo della compagine societaria o comunque della persona giuridica, spesso utilizzata per coprire strutture funzionali al perseguimento di scopi illeciti da parte di potenti organizzazioni criminali.
    L’articolo 6, nel modificare l’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.  271, dispone che quando esercita l’azione penale per taluni delitti genericamente ritenuti strumentali all’azione delle mafie o comunque dei sodalizi criminali, ovvero per reati contro l’amministrazione della giustizia quali in particolare il favoreggiamento, se la condotta è riferita alla commissione di delitti di estorsione, anche tentata, e di usura in danno di esercenti attività commerciali, il pubblico ministero ne dà comunicazione alla polizia tributaria ed all’Agenzia delle entrate, favorendo così la tempestiva adozione delle misure opportune.
    L’articolo 7 introduce, nella legge 11 agosto 2003, n. 228, una diminuente speciale ad efficacia indipendente, relativa a delitti di tratta, riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, acquisto o alienazione di schiavi, nonchè associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei suddetti reati – realizzati quasi sempre da organizzazioni criminali – ed applicabile all’imputato che si adoperi per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione e la cattura di uno o più autori dei reati ovvero per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti. Tale diminuente appare una misura importante al fine di promuovere la collaborazione dei partecipi a tali sodalizi criminali, favorendone al contempo la disgregazione dall’interno, e si conforma in tal senso alla ratio originaria delle attenuanti previste dal codice per condotte post-delittuose volte a reintegrare il bene giuridico leso dal reato ovvero ad attenuarne le conseguenze pregiudizievoli. Ma soprattutto, tale norma colma la lacuna presente nella disciplina della collaborazione da parte degli imputati per delitti contro la personalità individuale, che nonostante preveda per questi reati la possibilità di sottoporre a programma di protezione il collaboratore che riferisca informazioni in ordine alle condotte oggetto di accertamento, non sancisce alcuna diminuente speciale, diversamente da quanto disposto in ogni altra ipotesi di collaborazione con la giustizia.
    L’articolo 8 introduce talune modifiche al decreto-legge 15 gennaio 1991 n.  8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n.  82, in materia di misure speciali di protezione di testimoni e collaboratori di giustizia, prevedendo in particolare, al comma 1, lettera a), la possibilità di rilascio di permesso di soggiorno, anche ai fini del ricongiungimento familiare, nei confronti del collaboratore di giustizia. In tal modo, si favorisce inoltre la collaborazione di cittadini stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale i quali, per avere partecipato a sodalizi criminali, siano in grado di fornire notizie importanti ai fini dell’accertamento dei reati.
    Il comma 1, lettera b), dell’articolo 8 introduce invece, quale misura di protezione per i testimoni di giustizia, l’ accesso ad un programma di assunzione in una pubblica amministrazione, con qualifica e funzioni corrispondenti al titolo di studio ed alle professionalità possedute.
    L’articolo 9 modifica il sesto comma dell’articolo 416 del codice penale, prevedendo che tra i reati-scopo dell’associazione vi siano anche le fattispecie previste, in materia di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dall’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. La norma determina altresì l’attrazione delle relative fattispecie associative all’interno della competenza investigativa delle procure distrettuali, così da favorire il coordinamento delle indagini in materia di tratta, riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – reati spesso legati tra loro – e da evitare la dispersione di informazioni in ordine a condotte sovente connesse.

 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575, in materia di destinazione dei beni confiscati)

    1. Alla legge 31 maggio 1965, n. 575, sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) all’articolo 2-novies sono apportate le seguenti modificazioni:
            1) al comma 1, le parole: «ufficio del territorio del Ministero delle finanze che ha sede nella provincia ove si trovano i beni o ha sede l’azienda confiscata» sono sostituite dalle seguenti: «Agenzia del demanio»;

            2) al comma 2, primo periodo, le parole: «ufficio del territorio del Ministero delle finanze» sono sostituite dalle seguenti: «ufficio dell’Agenzia del demanio» e al secondo periodo, le parole: «del territorio» sono soppresse;

        b) l’articolo 2-decies è sostituito dal seguente:
    «Art. 2-decies. - 1. Alla destinazione dei beni confiscati provvede il prefetto della provincia in cui si trova il bene confiscato.

    2. Ricevuta la comunicazione del provvedimento definitivo di confisca, il prefetto comunica immediatamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Presidente della regione e della provincia, nonché al sindaco del comune ove si trova il bene, l’avvenuta acquisizione al patrimonio dello Stato del bene confiscato. Dell’acquisizione viene altresì data notizia sul sito internet dell’Agenzia del demanio e del Ministero dell’interno. I soggetti di cui al primo periodo possono, nei trenta giorni successivi alla comunicazione, presentare istanza di assegnazione dei beni.
    3. Entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione, il prefetto adotta il provvedimento di destinazione dei beni confiscati, acquisiti i pareri dell’Agenzia del demanio, del sindaco del comune ove si trova il bene, del procuratore distrettuale antimafia, del procuratore nazionale antimafia, e sentito, ove necessario, l’amministratore del bene, sulla base della stima del valore dei beni quale risultante dal rendiconto di gestione dell’amministratore giudiziario ovvero sulla base di stima effettuata dall’Agenzia del demanio. Tale termine può essere prorogato per una sola volta per non più di tre mesi in caso di oggettiva difficoltà a determinare il valore dei beni ovvero in presenza di compendi confiscati di particolare rilevanza. Ai pareri si applica quanto disposto dall’articolo 16, commi 1 e 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
    4. Ai fini di una pronta adozione del provvedimento di destinazione, il prefetto può convocare la conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.
    5. Anche prima dell’emanazione del provvedimento di destinazione di cui al comma 3, per la tutela dei beni confiscati si applicano le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 823 del codice civile»;

        c) l’articolo 2-undecies è sostituito dal seguente:
    «Art. 2-undecies. – 1. Dopo la confisca l’amministratore versa nel fondo di cui al comma 5:
        a) le somme di denaro confiscate;

        b) le somme ricavate dalla vendita dei beni mobili non costituiti in azienda, ivi compresi quelli registrati e i titoli. Se la procedura di vendita risulta antieconomica, con provvedimento del prefetto è disposta la cessione gratuita ad associazioni di beneficenza e assistenza di rilievo nazionale o internazionale, ovvero la distruzione del bene da parte dell’amministratore;
        c) le somme derivanti dal recupero dei crediti personali. Se la procedura di recupero risulta antieconomica, ovvero, dopo accertamenti sulla solvibilità del debitore svolti dal competente ufficio dell’Agenzia delle entrate, avvalendosi anche degli organi di polizia tributaria, il debitore risulti insolvibile, il credito è annullato con provvedimento del prefetto, comunicato al fondo di cui al comma 5.
    2. I beni immobili sono:

        a) mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile e, ove idonei, anche per altri usi governativi o pubblici connessi allo svolgimento delle attività istituzionali;

        b) trasferiti per finalità istituzionali o sociali in via prioritari al patrimonio del comune ove l’immobile è sito ovvero al patrimonio della provincia o della regione. Gli enti territoriali possono amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, enti, associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali e organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, a cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti di cui al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché alle associazioni ambientaliste riconosciute ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e successive modificazioni. Se entro un anno dal trasferimento l’ente non ha provveduto alla destinazione del bene, il prefetto revoca il provvedimento di trasferimento del bene.

    3. I beni aziendali sono mantenuti al patrimonio dello Stato e destinati con provvedimento del prefetto:
        a) all’affitto a titolo oneroso, quando vi siano fondate prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività produttiva, previa valutazione del competente ufficio dell’Agenzia del demanio, a società e ad imprese pubbliche o private, ovvero all’affitto a titolo gratuito, senza oneri a carico dello Stato, a cooperative di lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata, sempre che non sussista il pericolo che l’azienda possa tornare, anche per interposta persona, nella disponibilità del proposto, di taluna delle associazioni di cui all’articolo 4 o dei suoi appartenenti. Nella scelta dell’affittuario sono privilegiate le soluzioni che garantiscono il mantenimento dei livelli occupazionali. I beni non possono essere destinati all’affitto alle cooperative di lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata se taluno dei relativi soci è parente, coniuge, affine o convivente con il destinatario della confisca, ovvero nel caso in cui nei suoi confronti sia stato adottato taluno dei provvedimenti indicati nell’articolo 15, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55, e successive modificazioni;

        b) alla vendita, per un corrispettivo non inferiore a quello determinato dalla stima dell’amministratore ovvero del competente ufficio dell’Agenzia del demanio, a soggetti che ne abbiano fatto richiesta, qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse pubblico e sempre che non sussista il pericolo che l’azienda possa tornare, anche per interposta persona, nella disponibilità del proposto, di taluna delle associazioni di cui all’articolo 4 o dei suoi appartenenti. Nel caso di vendita disposta alla scadenza del contratto di affitto dei beni, l’affittuario può esercitare il diritto di prelazione entro trenta giorni dalla comunicazione della vendita del bene da parte del prefetto;
        c) alla liquidazione, qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse pubblico.

    4. Alle operazioni di cui al comma 3 provvede il prefetto, che può affidarle all’amministratore, entro sei mesi dalla data di emanazione del provvedimento di destinazione.

    5. I proventi derivanti dall’affitto, dalla vendita o dalla liquidazione dei beni di cui al comma 3 sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati in apposito fondo e destinati:

        a) alla gestione degli altri beni confiscati, nonché ai pagamenti in favore dei terzi che vantino diritti sui beni confiscati;

        b) al risarcimento delle vittime dei reati, nei casi e nei modi previsti dalla legge;
        c) al Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura di cui alla legge 23 febbraio 1999, n.  44;
        d) al risanamento delle aziende confiscate in crisi, di cui non siano stati disposti la liquidazione o il fallimento;
        e) all’acquisto di mezzi necessari per le indagini in materia di criminalità organizzata, nonché alle spese per le indennità da corrispondere al personale di polizia giudiziaria impegnato nelle medesime indagini.

    6. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia e dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, sono determinate le percentuali di destinazione delle somme affluite al fondo di cui al comma 5 in favore dei beneficiari ivi indicati.

    7. Nella scelta del cessionario o dell’affittuario dei beni aziendali, il prefetto procede mediante licitazione privata ovvero, qualora ragioni di necessità o di convenienza, specificatamente indicate e motivate, lo richiedano, mediante trattativa privata. Sui relativi contratti è richiesto il parere di organi consultivi solo per importi eccedenti 1.033.000 euro nel caso di licitazione privata e 516.000 euro nel caso di trattativa privata. I contratti per i quali non è richiesto il parere del Consiglio di Stato sono approvati dal dirigente del competente ufficio dell’Agenzia del demanio, sentito il direttore generale dell’Agenzia stessa.
    8. I provvedimenti emanati ai sensi del presente articolo sono immediatamente esecutivi. Il prefetto, per la destinazione dei beni confiscati, può disporre lo sgombero degli immobili abusivamente occupati mediante l’ausilio della forza pubblica. Ove il rilascio dell’immobile non sia avvenuto spontaneamente, il prefetto procede allo sgombero decorsi novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo di confisca al titolare del diritto reale o personale di godimento.
    9. In caso di confisca di beni in comunione, se il bene è indivisibile ai condomini in buona fede è concesso diritto di prelazione per l’acquisto della quota confiscata al valore di mercato, salvo che sussista la possibilità che il bene, in ragione del livello di infiltrazione criminale, possa tornare anche per interposta persona nella disponibilità del sottoposto.
    10. Se i soggetti di cui al comma 9 non esercitano il diritto di prelazione o non si possa procedere alla vendita, il bene è acquisito per intero al patrimonio dello Stato e i condomini hanno diritto alla corresponsione di una somma equivalente al valore attuale della propria quota di proprietà.
    11. Per i beni appartenenti al demanio culturale, ai sensi degli articoli 53 e seguenti del codice dei beni culturali e del paessaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la vendita non può essere disposta senza previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali».

Art. 2.

(Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di agevolazione ai detenuti e internati sottoposti alle restrizioni di cui all’articolo 41-bis)

    1. Dopo l’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, è inserito il seguente:

    «Art. 41-ter. - (Elusione delle prescrizioni di cui all’articolo 41-bis) – 1. Chiunque compie atti idonei a consentire ai detenuti o agli internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis di comunicare con l’esterno, eludendo le prescrizioni allo scopo previste, ovvero a stabilire o mantenere collegamenti con associazioni a delinquere di tipo mafioso, terroristico o eversivo, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

    2. Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense si applica la pena della reclusione da due a cinque anni».

Art. 3.

(Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in materia di prevenzione di infiltrazioni mafiose in appalti pubblici)

    1. Al codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) all’articolo 2, comma 2, dopo le parole: «dell’ambiente» sono inserite le seguenti: «, alla prevenzione del rischio di infiltrazioni mafiose»;

        b) all’articolo 5 sono apportate le seguenti modificazioni:

            1) al comma 4, dopo le parole: «dell’economia e delle finanze» sono inserite le seguenti: «e dell’interno»;

            2) al comma 5, dopo la lettera s-bis), è aggiunta, in fine, la seguente:

            «s-ter) la prevenzione del rischio di infiltrazioni mafiose, anche mediante l’obbligo di denuncia di ogni tentativo di estorsione o di ingerenza criminale nell’esecuzione delle prestazioni e la collaborazione alle relative indagini»;
        c) all’articolo 38, comma 1, dopo la lettera f) è inserita la seguente:
        «f-bis) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, non hanno denunciato ogni tentativo di estorsione e di infiltrazione mafiosa, fornendo all’autorità giudiziaria ovvero ad altra autorità che a quella abbia obbligo di riferire tutte le informazioni e le notizie possedute, in relazione agli eventi lesivi specifici, nonché ad eventuali antefatti e circostanze rilevanti ai fini delle indagini, accertati con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante. L’esclusione ed il divieto operano secondo le condizioni indicate nella lettera c), in quanto compatibili»;
        d) all’articolo 135, comma 1, dopo le parole «passata in giudicato» sono inserite le seguenti: «per reati di corruzione, concussione, associazione a delinquere, associazione a delinquere di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, ricettazione, riciclaggio, impiego di denaro, beni od utilità di provenienza illecita, usura, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, truffa aggravata per il perseguimento di erogazioni pubbliche e trasferimento fraudolento di valori, nonché»;

        e) all’articolo 136, dopo il comma 3, è inserito il seguente:

    «3-bis. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano anche quando la prevenzione del rischio di infiltrazioni mafiose è stata ostacolata dalla inosservanza degli obblighi di cui all’articolo 5, lettera s-ter)»;
        f) all’articolo 176, comma 3, la lettera e) è sostituita dalle seguenti:
        «e) alla stipulazione di appositi accordi con gli organi competenti in materia di sicurezza nonché di prevenzione e repressione della criminalità, finalizzati alla verifica preventiva del programma di esecuzione dei lavori in vista del successivo monitoraggio di tutte le fasi di esecuzione delle opere e dei soggetti che le realizzano. I contenuti di tali accordi sono definiti dal CIPE sulla base delle linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere, istituito ai sensi dell’articolo 180 del codice e del decreto del Ministro dell’interno in data 14 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 5 marzo 2004 con la possibilità di valutare il comportamento dell’aggiudicatario ai fini della successiva ammissione a procedure ristrette della medesima stazione appaltante in caso di mancata osservanza di tali prescrizioni. Le prescrizioni del CIPE a cui si uniformano gli accordi di sicurezza sono vincolanti per i soggetti aggiudicatori e per l’impresa aggiudicataria, che è tenuta a trasferire i relativi obblighi a carico delle imprese interessate a qualunque titolo alla realizzazione dei lavori. Le misure di monitoraggio per la prevenzione e repressione di tentativi di infiltrazione mafiosa comprendono il controllo dei flussi finanziari connessi alla realizzazione dell’opera, inclusi quelli concernenti risorse totalmente o parzialmente a carico dei promotori ai sensi dell’articolo 175 e quelli derivanti dalla attuazione di ogni altra modalità di finanza di progetto. Il CIPE definisce, altresì, lo schema di articolazione del monitoraggio finanziario, indicando i soggetti sottoposti a tale forma di controllo, le modalità attraverso le quali esercitare il monitoraggio, nonché le soglie di valore delle transazioni finanziarie oggetto del monitoraggio stesso, potendo anche indicare, a tal fine, limiti inferiori a quello previsto ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n.  231, e successive modificazioni. Gli oneri connessi al monitoraggio finanziario sono ricompresi nell’aliquota forfettaria di cui al comma 20. In ogni caso, l’impresa aggiudicataria e le imprese interessate a qualunque titolo nell’esecuzione dei lavori hanno l’obbligo di denunciare ogni tentativo di estorsione e di infiltrazione mafiosa, fornendo all’autorità giudiziaria ovvero ad altra autorità che a quella abbia obbligo di riferire tutte le informazioni e le notizie possedute, in relazione agli eventi lesivi specifici, nonché ad eventuali antefatti e circostanze rilevanti ai fini delle indagini. In caso di inosservanza, l’aggiudicatario è escluso dalla successiva ammissione a procedure ristrette della medesima stazione appaltante e può essere richiesta la risoluzione dei contratti di affidamento e di sub affidamento. Salva l’azione erariale di risarcimento danni, il contratto di appalto, ad invarianza delle condizioni di aggiudicazione, può essere portato eseguito in forma specifica, su richiesta della stazione appaltante, quando si tratta di lavori indifferibili od urgenti, ovvero di forniture di beni o servizi la cui interruzione pregiudica interessi rilevanti della collettività;

        e-bis) ad assicurare che tutti i pagamenti o le transazioni finanziarie relative ad affidamenti e sub-affidamenti siano effettuate tramite intermediari autorizzati, in modo che ne sia garantita la tracciabilità sulla base di idonea documentazione, con esclusione di cessioni del credito o del debito a terzi, sotto qualsivoglia forma, e di pagamenti con assegni liberi, nonché di pagamenti in contanti per somme superiori a 2.000 euro, con divieto di frazionare i pagamenti di operazioni unitarie. In caso di inosservanza, l’aggiudicatario è escluso dalla successiva ammissione a procedure ristrette della medesima stazione appaltante e può essere richiesta la risoluzione dei contratti di affidamento e di sub affidamento».

Art. 4.

(Modifiche al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, in materia di prevenzione delle infiltrazioni mafiose nel settore del commercio)

    1. Al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) all’articolo 5, comma 2, la lettera c) è sostituita dalla seguente:
        «c) coloro che hanno riportato una condanna a pena detentiva, accertata con sentenza passata in giudicato, per uno dei delitti di cui ai titoli II e VIII del Libro II del codice penale, ovvero di ricettazione, riciclaggio, impiego di denaro, beni od utilità di provenienza illecita, favoreggiamento reale, insolvenza fraudolenta, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta, usura, usura impropria, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, furto, rapina, truffa aggravata per il perseguimento di erogazioni pubbliche e trasferimento fraudolento di valori, nonché, se la condotta si riferisce alla commissione di taluno dei delitti sopra indicati, di calunnia, autocalunnia, falsa testimonianza, intralcio alla giustizia e favoreggiamento personale»;
        b) all’articolo 22, dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:
    «2-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche se il titolare dell’attività commerciale non denuncia eventuali tentativi di estorsione e di infiltrazione mafiosa, fornendo all’autorità giudiziaria ovvero ad altra autorità che a quella abbia obbligo di riferire tutte le informazioni e le notizie possedute, in relazione agli eventi offensivi specifici, nonché ad eventuali antefatti e circostanze rilevanti ai fini delle indagini. In ogni caso è disposta la sospensione dell’attività di vendita per un periodo non inferiore a dieci giorni e non superiore a quaranta.

    2-ter. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al comma 2-bis, il sindaco può ottenere dall’autorità giudiziaria competente copia di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto, anche in deroga al divieto stabilito dall’articolo 329 del codice di procedura penale. L’autorità giudiziaria provvede senza ritardo e può rigettare la richiesta con decreto motivato. L’autorità giudiziaria può trasmettere le copie e le informazioni anche di propria iniziativa»;

        c) all’articolo 29, dopo il comma 3 è inserito il seguente:
    «3-bis. Le disposizioni di cui all’articolo 22, commi 2-bis e 2-ter, si applicano anche, nei casi ivi previsti, al titolare di taluna delle attività commerciali disciplinate dal presente Titolo».

Art. 5.

(Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità degli enti per delitti di criminalità organizzata)

    1. Dopo l’articolo 24-bis del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, è inserito il seguente:

    «Art. 24-ter. - (Delitti di criminalità organizzata) – 1. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché ai delitti previsti dall’articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.

    2. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416 del codice penale, ad esclusione del sesto comma, ovvero di cui all’articolo 407, comma 1, lettera a), n. 5, del codice di procedura penale, si applica la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote.
    3. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
    4. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nei commi 1 e 2 si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3».

Art. 6.

(Modifiche al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in materia di informazioni sull’azione penale)

    1. All’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, al comma 1 è premesso il seguente:

    «01. Quando esercita l’azione penale per i delitti di cui agli articoli 629, 644 e 644-bis del codice penale, nonché per i delitti di cui agli articoli 368, 369, 372, 377, 378, 379 del medesimo codice, se la condotta è riferita alla commissione di delitti di estorsione, anche tentata, e di usura in danno di esercenti attività commerciali, il pubblico ministero ne dà comunicazione alla polizia tributaria ed all’Agenzia delle entrate».

Art. 7.

(Modifiche alla legge 11 agosto 2003, n. 228, in materia di circostanze attenuanti)

    1. Dopo l’articolo 4 della legge 11 agosto 2003, n.  228, è inserito il seguente:

    «Art. 4-bis. - (Circostanze attenuanti) – 1. Per i delitti previsti dagli articoli 600, 601, 602 e 416, sesto comma, del codice penale, le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione e la cattura di uno o più autori dei reati ovvero per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti».

Art. 8.

(Modifiche al decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, in materia di misure speciali di protezione)

    1. Al decreto-legge 15 gennaio 1991, n.  8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) all’articolo 13, comma 5, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ivi compreso il rilascio di permesso di soggiorno, anche ai fini del ricongiungimento familiare.»;

        b) all’articolo 16-ter sono apportate le seguenti modificazioni:

            1) al comma 1, dopo la lettera e) è inserita la seguente:
        «e-bis) all’accesso ad un programma di assunzione in una pubblica amministrazione, con qualifica e funzioni corrispondenti al titolo di studio ed alle professionalità possedute;»;
            2) dopo il comma 2, è inserito il seguente:
    «2-bis. Alle eventuali assunzioni di cui al comma 1, lettera e-bis), si provvede per chiamata diretta nominativa, nell’ambito dei rapporti di lavoro di cui all’articolo 2, commi 2 e 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e degli stanziamenti allo scopo disponibili, anche in deroga a disposizioni di legge concernenti le assunzioni nella pubblica amministrazione, fatte salve quelle che richiedono il possesso di specifici requisiti, sulla base delle intese conseguite fra il Ministero dell’interno e l’Amministrazione interessata. Con apposito decreto da emanare ai sensi del comma 1 dell’articolo 17-bis, sono stabilite le occorrenti modalità di attuazione, anche al fine di garantire la sicurezza delle persone interessate».
    2. Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo, determinati in euro 6.928.608 a decorrere dall’anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «fondi da ripartire», dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

    3. Il Ministero della giustizia provvede al monitoraggio degli oneri di cui all’articolo 4, informando tempestivamente il Ministero dell’economia e delle finanze, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, n. 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al primo periodo del presente comma, sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati da apposite relazioni illustrative.
    4. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 9.

(Modifiche al codice penale in materia di associazione per delinquere)

    1. All’articolo 416, sesto comma, del codice penale, le parole: «600, 601 e 602» sono sostituite dalle seguenti: «600, 601 e 602 e all’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni».


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