testo del ddl
Atto a cui si riferisce:
C.1548 Delega al Governo per incentivare l'adozione di statuti partecipativi delle imprese
CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 1548 |
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La necessità di condividere le nuove responsabilità che scaturiscono da tali cambiamenti incentiva le parti sociali a trasferire il loro operato dal tortuoso sentiero della contrapposizione alla strada più ariosa della coesione e del dialogo sociali, al fine di consolidare il «sistema Paese».
I grandi cambiamenti intervenuti nel paradigma produttivo, con il contenimento del modello fordista di produzione, hanno reso la risorsa umana sempre più importante all'interno delle realtà produttive: oggi al lavoratore si richiede non più soltanto
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D'altra parte, una maggiore centralità del lavoro nell'impresa consente di migliorarne la produttività, andando incontro all'esigenza del mondo imprenditoriale di consolidare la capacità di competere su mercati sempre più complessi, nei quali si rafforza soprattutto la competitività dei sistemi economici orientali.
Ne consegue la necessità di affrontare velocemente la questione della «partecipazione dei lavoratori» come un orizzonte strategico di notevole attualità, capace di costituire lo sfondo culturale più appropriato per dare vita nel nostro Paese a una stagione di modernizzazione dell'impresa e del lavoro.
La diffusione di formule partecipative nelle imprese, così come individuate nella presente proposta di legge, vuole perseguire due ulteriori obiettivi:
1) da un lato, riuscire a governare l'innovazione tecnologica indirizzandola a fini di sviluppo e di occupazione. In questo senso il maggiore coinvolgimento dei lavoratori nell'impresa ne amplia la visione strategica verso un orizzonte di medio e lungo periodo, che ne promuova la stabilità e l'ulteriore sviluppo;
2) dall'altro lato, individuare un nuovo assetto delle relazioni industriali che favorisca l'obiettivo di perseguire una via alta alla competizione internazionale delle imprese; una competizione, cioè, che si basi sull'affidabilità, sul miglioramento continuo dei processi e dei prodotti e sulla capacità di rispondere con prontezza alle domande sempre più mutevoli provenienti dal mercato, rifiutando in questo modo di basare la competitività delle produzioni soltanto sul prezzo.
L'importanza dell'argomento emerge anche dalle numerose sollecitazioni che in tema di democrazia industriale sono giunte negli ultimi trent'anni dalle istituzione dell'Unione europea.
La raccomandazione 92/433/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1992, concernente la promozione della partecipazione dei lavoratori subordinati ai profitti e ai risultati dell'impresa, considerato che la promozione della partecipazione finanziaria alle imprese dei lavoratori può avere effetti positivi sulla motivazione e sulla produttività dei dipendenti, nonché sulla competitività delle imprese, invitava gli Stati membri a:
a) introdurre nelle imprese la partecipazione agli utili o l'azionariato dei lavoratori, oppure una combinazione delle due formule;
b) prendere in esame la possibilità di accordare incentivi di ordine fiscale o finanziario per incoraggiare l'introduzione di meccanismi di partecipazione;
c) incoraggiare l'uso di formule di partecipazione, agevolando la messa a disposizione di informazioni adeguate.
Successivamente, nelle due relazioni Pepper del 24 luglio 1997 e Hermange del 15 gennaio 1998, predisposte dagli organismi dell'Unione europea per verificare lo stato di attuazione della precedente raccomandazione del Consiglio, era emerso che:
a) la partecipazione dei lavoratori ai profitti e ai risultati dell'impresa a prescindere dai metodi e dai modelli utilizzati si associava sempre a una maggiore produttività e a un discreto aumento dell'occupazione;
b) la partecipazione di cui alla lettera a) rafforzava l'attaccamento dei dipendenti alla loro impresa, incoraggiando, allo stesso tempo, l'acquisizione di qualifiche professionali;
c) mancava completamente una legislazione adeguata per l'applicazione dei sistemi di partecipazione, soprattutto per un'eccessiva ostilità dei sindacati all'uso dei sistemi di partecipazione, percepiti come uno strumento per introdurre una flessibilità incontrollata dei salari all'interno del mercato del lavoro;
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d) era opportuno che gli organismi dell'Unione europea proponessero agli Stati membri una normativa quadro sulla partecipazione.
In seguito, l'articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (firmata nel corso del Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000) ha sancito il diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa. Infine, lo stesso Consiglio europeo di Nizza ha provveduto a definire un modello di «società per azioni europea», per il quale è stato indicato l'inserimento di rappresentanti di lavoratori negli organi societari.
La presente proposta di legge mira a colmare un vuoto normativo presente nel nostro ordinamento dall'entrata in vigore della Costituzione, che all'articolo 46 ha previsto che «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende».
Verso la prospettiva di un rinnovamento in senso partecipativo dei rapporti tra capitale e lavoro nelle imprese confluiscono diversi filoni culturali della tradizione politica italiana: la dottrina sociale della Chiesa, il riformismo socialista, le componenti più aperte del liberalismo e l'area della destra più sensibile alle tematiche sociali.
In riferimento alla dottrina sociale della Chiesa ricordiamo qui alcune tappe fondamentali: il paragrafo 78 della Mater et Magistra di Papa Giovanni XXIII del 1961 nel quale si riteneva «che sia legittima nei lavoratori l'aspirazione a partecipare attivamente alla vita delle imprese, nelle quali sono inseriti e operano»; il paragrafo 13 della Laborem exercens, che Papa Giovanni Paolo II promulgò nel 1981, nel quale si ricordava che «Retto, (...) cioè intrinsecamente vero e al tempo stesso moralmente legittimo, può essere quel sistema di lavoro che alle sue stesse basi supera l'antinomia tra lavoro e capitale, cercando di strutturarsi secondo il principio sopra esposto della sostanziale ed effettiva priorità del lavoro, della soggettività del lavoro umano e della sua efficiente partecipazione a tutto il processo di produzione, e ciò indipendentemente dalla natura delle prestazioni che sono eseguite dal lavoratore». Così come nella Centesimus Annus del 1o maggio 1991, al paragrafo 35, Papa Giovanni Paolo II ammoniva che «si può giustamente parlare di lotta contro un sistema economico, inteso come metodo che assicura l'assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività del lavoro dell'uomo. A questa lotta contro un tale sistema non si pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di Stato, ma una società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società».
Nella componente più illuminata del liberalismo, invece, va ascritta la proposta di legge che Giovanni Giolitti, l'8 febbraio 1921, aveva presentato come Presidente del Consiglio dei ministri su forme di partecipazione dei lavoratori nelle imprese, richiamandosi a precedenti europei tra cui quello tedesco della legge 4 febbraio 1920 sul consiglio di azienda, la quale traeva fondamento nell'articolo 165 della Costituzione di Weimar.
Alla componente del socialismo riformista, che si ispirava alle realizzazioni conseguite dalla socialdemocrazia tedesca negli anni venti del secolo scorso, si collega invece il progetto dei consigli di gestione che Rodolfo Morandi presentò nel 1946 al fine di «creare nelle imprese strumenti idonei per permettere ad esse di partecipare alla ricostruzione industriale e alla predisposizione delle programmazioni e dei piani d'industria che venissero adottati dai competenti organi dello Stato, e per renderne effettuale ed operante l'esecuzione».
Infine, nel richiamo all'ideale mazziniano che promuoveva l'unione del capitale
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Nella presente proposta di legge, ai fini dell'attuazione dell'articolo 46 della Costituzione, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che dovranno individuare i requisiti minimi affinché le imprese, o per effetto di un accordo sindacale, stipulato con le rappresentanze sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati alle stesse, o mediante proposta aziendale, subordinata al consenso dei lavoratori, possano adottare uno statuto partecipativo che legittimi ad accedere ai benefìci.
Per valutare il grado di rispondenza delle società a statuto partecipativo ai requisiti prefissati si attribuisce il compito alla Direzione regionale del lavoro o, nel caso di aziende presenti in più regioni, al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
In sintesi, la presente proposta di legge pone le condizioni necessarie a rafforzare non solo l'adattabilità delle imprese alle variazioni del mercato, ma anche il senso di una «comunità di destino» tra i vari soggetti che operano all'interno delle aziende italiane, per consentire loro di competere con più efficacia nell'ambito del mercato globale.
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1. Ai fini dell'attuazione dell'articolo 46 della Costituzione, che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende, degli articoli 21 e 22 della Carta sociale europea, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, resa esecutiva dalla legge 9 febbraio 1999, n. 30, che sanciscono il diritto dei lavoratori all'informazione, alla consultazione e alla partecipazione, nonché della raccomandazione 92/443/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1992, concernente la promozione della partecipazione dei lavoratori subordinati ai profitti e ai risultati dell'impresa, il Governo, è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, da esprimere entro due mesi dalla trasmissione degli schemi di decreto, nonché sentita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si esprime nel medesimo termine, uno o più decreti legislativi con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) individuare i requisiti minimi affinché le imprese, per effetto di un accordo sindacale, stipulato con le rappresentanze sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nelle imprese medesime o con i rispettivi organi di coordinamento, ovvero per effetto di una proposta aziendale, approvata a scrutinio segreto dalla maggioranza dei dipendenti occupati a tempo indeterminato, possano adottare uno statuto partecipativo che le legittima ad accedere ai benefìci di cui alla lettera c). Tali requisiti devono prevedere, anche alternativamente:
1) l'istituzione di organismi congiunti, costituiti sia da rappresentanti dell'impresa
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2) procedure formali, vincolanti e garantite di informazione e consultazione preventiva nonché di monitoraggio dei rappresentanti dei lavoratori in ordine alle decisioni più rilevanti dell'impresa, anche attraverso l'istituzione di organismi sindacali titolari di corrispondenti diritti;
3) la distribuzione ai lavoratori dipendenti di una quota del profitto di impresa eccedente una soglia minima ovvero il trasferimento ai lavoratori dipendenti di una quota del reddito di impresa mediante l'assegnazione di azioni;
4) l'accesso collettivo dei lavoratori dipendenti al capitale dell'impresa, gestito attraverso la costituzione di associazioni di lavoratori che abbiano tra i propri scopi un utilizzo non speculativo delle azioni e l'esercizio della rappresentanza collettiva a livello societario;
b) attribuire alla Direzione regionale del lavoro, ovvero, nel caso di aziende presenti con loro siti in più regioni, al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali la certificazione in ordine alla sussistenza dei requisiti di cui alla lettera a);
c) determinare i benefìci discendenti dall'adozione dello statuto partecipativo di cui alla lettera a), i quali consistono, anche cumulativamente tra loro per le imprese il cui statuto comprende forme plurime di partecipazione, in agevolazioni di natura fiscale e contributiva applicate alle remunerazioni erogate e alle quote societarie riconosciute, ovvero in agevolazioni di natura normativa applicate all'area di autonomia contrattuale riconosciuta.
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2. Gli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge sono posti a carico del Fondo di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, la cui dotazione è incrementata di 50 milioni di euro per i primi tre anni di applicazione dei regimi di agevolazione alle imprese a statuto partecipativo.