Testo DDL 1624
Atto a cui si riferisce:
S.1624 Modifiche alla legge 25 maggio 1970, n. 352, recante norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo
Legislatura 16º - Disegno di legge N. 1624
Senato della Repubblica |
XVI LEGISLATURA
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N. 1624
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DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa della senatrice PORETTI COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 23 GIUGNO 2009 Modifiche alla legge 25 maggio 1970, n. 352, recante norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo
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Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge è stato presentato grazie alla collaborazione dell’Aduc (associazione per i diritti degli utenti e consumatori).
La Costituzione italiana all’articolo 75 ha previsto il referendum abrogativo di leggi ed atti aventi forza di legge, uno strumento di intervento diretto dei cittadini sulla compagine normativa, che consente agli elettori da un lato di manifestare il proprio volere e dall’altro di controllare e correggere l’operato del legislatore.
Ma questo strumento, nato con i migliori intenti ma reso inutilizzabile fino al 1970, negli anni ha subito una pesante opera di depotenziamento, e ciò ad opera di scelte politiche e legislative tanto zelanti quanto antidemocratiche.
In primo luogo ha inciso fortemente la procedura dettata dal legislatore per l’attuazione del referendum.
Il parere della Corte costituzionale previsto dall’articolo 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352, relativo all’ammissibilità dei quesiti referendari, costituisce il presupposto essenziale per la tenuta della consultazione popolare. Questo, tuttavia, interviene solo a seguito della raccolta delle 500.000 firme e del controllo della Corte di cassazione.
Questa tempistica già di per sé evidenzia il tentativo del legislatore di dissuadere i cittadini dall’utilizzo dello strumento. Per quale ragione, infatti, il vaglio sull’ammissibilità deve essere rilasciato dopo l’enorme lavoro di raccolta delle firme e non prima di esso?
Un secondo ostacolo è il raggio di azione del giudizio di ammissibilità operato dalla Corte costituzionale.
Negli anni i limiti dell’ammissibilità dei quesiti referendari posti dalla Corte costituzionale si sono sempre più ampliati. Dalla verifica del rispetto da parte del quesito del disposto di cui all’articolo 75, secondo comma, della Costituzione, criterio prescritto dalla stessa carta costituzionale, la Consulta è giunta a formulare valutazioni sulla forma, la chiarezza e la semplicità dei quesiti, l’univocità o ambiguità degli stessi, l’idoneità o meno dei quesiti a raggiungere lo scopo, la necessità o meno dell’esistenza di una legge, respingendone molti e vanificando milioni di firme raccolte.
In terzo luogo, il Parlamento ha più volte ha disatteso i risultati referendari tornando a legiferare su temi già abrogati e in direzione opposta a quella espressa dalla maggioranza degli elettori.
Come esempio, valga per tutti l’abrogazione del Ministero dell’agricoltura che subito dopo è stato reintrodotto come Ministero delle politiche agricole, o il finanziamento pubblico ai partiti. Scelte che hanno determinato da un lato la percezione dei cittadini di esser impotenti di fronte al Parlamento, dall’altro e di riflesso, una crescente sfiducia degli stessi nello strumento referendario.
Il quarto elemento che ha provocato la situazione di «stallo» attuale, per cui ormai da più di dieci anni il quorum non viene raggiunto (se si escludono le materie per cui non è previsto alcun quorum), sono le campagne astensioniste messe in atto dai partiti, che hanno avuto come primo effetto l’ulteriore allontanamento dei cittadini dalla partecipazione alla vita politica. Se alla fisiologica partecipazione parziale della cittadinanza chiamata a votare il referendum, infatti, si somma l’invito dei partiti all’astensione, è facile ottenere come risultato l’annullamento del referendum per mancato raggiungimento del quorum, attualmente fissato nella maggioranza degli aventi diritto.
Questo, infatti, è quanto accaduto:
– nel 1990 con i 3 referendum sulla caccia, sull’accesso dei cacciatori ai fondi privati e sull’uso dei pesticidi;
– nel 1997 con i 7 referendum sull’abolizione del potere del Ministro del tesoro nelle aziende privatizzate, l’abolizione dei limiti per essere ammessi al servizio civile, di nuovo l’abolizione della possibilità per i cacciatori di entrare nei fondi altrui, l’abolizione del sistema di progressione delle carriere dei magistrati, l’abolizione dell’ordine dei giornalisti, l’abolizione della possibilità di incarichi extragiudiziali per i magistrati, la soppressione del Ministero per le politiche agricole;
– nel 1999 sull’abolizione della quota proporzionale nell’elezione della Camera dei deputati;
– nel 2000 con i 7 referendum relativi all’eliminazione del rimborso delle spese elettorali e referendarie, di nuovo l’abolizione della quota proporzionale nell’elezione della Camera, l’abolizione del voto di lista nell’elezione del Consiglio superiore della magistratura, la separazione delle carriere tra la magistratura inquirente e quella giudicante, di nuovo abolizione della possibilità di incarichi extragiudiziali dei magistrati, l’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, l’abrogazione della possibilità di trattenute associative e sindacali tramite gli enti previdenziali;
– nel 2003 con i 2 referendum sulla reintegrazione dei lavoratori e sulla servitù coattiva delle condutture elettriche;
– nel 2005 con i 4 referendum sulla procreazione assistita;
– nel 2009 con i 3 referendum elettorali.
Molto spesso è stato detto, più dai politici che dai cittadini, che al giorno d’oggi il referendum è uno strumento obsoleto, o di cui si è abusato, o comunque non adatto a decidere questioni, come quelle cosiddette «di coscienza», che dovrebbero essere affrontate e risolte dall’organo legislativo per eccellenza, il Parlamento.
Ebbene, se il legislatore avesse inteso porre dei limiti alla consultazione popolare, avrebbe aggiunto tutta una serie di materie a quelle già indicate all’articolo 75, secondo comma, della Costituzione, per le quali il referendum non è ammesso, vale a dire le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.
L’intento del legislatore, inutile dirlo, era quello di lasciare il più ampio spazio ai cittadini italiani affinché esprimessero il loro parere sulle questioni di importanza diffusa. La propaganda all’astensione invece, contrariamente all’indicazione di un chiaro «sì» o di un chiaro «no», va nella direzione contraria a quella auspicata dal legislatore. In via diretta non incide altro che sul numero dei voti contrari al quesito, sommandosi ad essi. Indirettamente, invece, è proprio l’invito all’astensione che sminuisce l’importanza della chiamata alle urne, contribuendo a convincere i dubbiosi non sul quesito in sé, ma sullo strumento, nonostante che per volere della Costituente esso rappresenti una precisa e preziosa modalità di esercizio della sovranità popolare.
Viene da pensare che, vista la frequenza degli inviti all’astensione, la classe politica abbia timore delle decisioni dei cittadini, e per questo disincentivi le occasioni di confronto democratico decisionale, dando continue dimostrazioni di un modo di pensare e di agire deresponsabilizzante.
Riteniamo, invece, vi sia la necessità di ristabilire e rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Questo è il fine del disegno di legge.
Abbiamo molti esempi in Stati moderni e democratici come la Svizzera e la California, nei quali la disciplina del referendum è costruita in modo da rispettare le decisioni dei cittadini, non ostacolando la loro libera espressione con l’introduzione di quorum e norme censorie ed invalidanti. Basta pensare che senza il vincolo del quorum, negli Stati Uniti, dal 1991 al 1998, si sono svolti 259 referendum: 77 nel solo 1994 e addirittura 99 nel 1996; in Svizzera, dal 1971 al 1998, si sono tenute 237 consultazioni referendarie.
Affinché la consultazione referendaria possa essere libera, informata, e rispettata nei suoi esiti, molti sono gli interventi che il Parlamento dovrebbe porre in essere. Con un disegno di legge costituzionale, ad hoc, abbiamo proposto l’abolizione del quorum previsto nella medesima Costituzione, mentre con questo disegno di legge – non necessariamente congiunto a quello costituzionale – proponiamo che il giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale sia dato prima dell’avvio della raccolta delle firme necessarie all’indizione della consultazione elettorale.
Cinquecentomila firme di elettori da raccogliere in tre mesi, o la richiesta da parte di almeno cinque consigli regionali, nonché la verifica sulla correttezza e completezza delle firme raccolte da parte della Cassazione, ci sembrano più che sufficienti da non doverli sottoporre al giudizio successivo di ammissibilità da parte della Corte costituzionale, giudizio che se espresso in anticipo costituirebbe un notevole risparmio economico e politico. Il pericolo che la Corte però debba perdere il proprio tempo ad ammettere quesiti che poi non vedano la mobilitazione per la raccolta di firme, si può scongiurare con un paletto: la presentazione del quesito al giudizio della Corte da parte di almeno 5.000 elettori (l’1 per cento dei 500.000 per cui scatta il ricorso automatico alle urne).
Riteniamo anche che attraverso questa modifica si possa raggiungere l’obbiettivo di restituire ai cittadini il compito di vigilare sul lavoro delle istituzioni, ed in alcuni casi di correggerne gli effetti eliminando leggi talvolta inutili e dannose. Chi vede nella sua sopravvivenza una barriera utile e necessaria, dimostra di avere poca fiducia nello strumento referendario, scoraggiando una raccolta firme che potrebbe essere vanificata dall’intervento dell’Alta corte.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
1. Alla legge 25 maggio 1970, n. 352, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 7, il primo comma è sostituito dal seguente:
«Al fine di raccogliere le firme necessarie a promuovere da almeno 500.000 elettori la richiesta prevista dall’articolo 4, i promotori della raccolta, in numero non inferiore a dieci, devono presentarsi, muniti di certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali di un comune della Repubblica, nonché di almeno 5.000 firme di elettori, autenticate e munite di certificato comprovante la loro iscrizione alle liste elettorali di un comune della Repubblica, alla cancelleria della Corte di cassazione, che ne dà atto con verbale, copia del quale viene rilasciata ai promotori.»;
b) nel titolo II, all’articolo 27 è premesso il seguente:
«Art. 26-bis. – 1. Per la raccolta delle 500.000 firme necessarie alla richiesta di referendum, o perché almeno cinque consigli regionali che intendano promuovere richiesta di referendum possano procedere all’approvazione, è necessaria un’ordinanza della Corte costituzionale che stabilisca la legittimità delle richieste. A tal fine l’Ufficio centrale dei referendum presso la Corte di cassazione trasmette le richieste alla Corte costituzionale, il giorno stesso della pubblicazione delle medesime in Gazzetta Ufficiale.
2. La Corte costituzionale, entro tre mesi dalla trasmissione delle richieste, si deve pronunciare e trasmettere non oltre i medesimi tre mesi la relativa ordinanza al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri. L’ordinanza deve essere notificata a mezzo di ufficiale giudiziario, entro il medesimo termine, ai promotori della raccolta delle firme, oppure ai delegati dei cinque consigli regionali.»;
c) all’articolo 32, secondo comma, le parole: «, esclusa la cognizione dell’ammissibilità, ai sensi del secondo comma dell’articolo 75 della Costituzione, la cui decisione è demandata dall’articolo 33 della presente legge alla Corte costituzionale» sono soppresse;
d) l’articolo 33 è abrogato;
e) all’articolo 34, primo comma, le parole: «Ricevuta comunicazione della sentenza della Corte costituzionale» sono sostituite dalle seguenti: «Ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione».
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