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Atto a cui si riferisce:
S.1/00097 Ammortizzatori sociali



Atto Senato

Mozione 1-00097 presentata da GIANPIERO D'ALIA
martedì 10 marzo 2009, seduta n.168

D'ALIA, CINTOLA, CUFFARO, THALER AUSSERHOFER, PETERLINI, PINZGER, GIAI, FOSSON - Il Senato,

premesso che:

la situazione economica del nostro Paese sta subendo gli effetti della recessione provocata dalla crisi economica internazionale, cosi come sottolineato dai dati elaborati dalla contabilità nazionale. Il ministro Tremonti ha sottolineato di recente come probabilmente per le famiglie italiane il 2009 sarà un annus horribilis ancor più rispetto al 2008. I dati forniti dalle istituzioni mondiali, europee ed italiane non sono di certo rassicuranti sullo stato di salute della nostra economia, ma anzi sottolineano l'inadeguatezza di un sistema ingessato dalle mancate riforme strutturali dell'ultimo decennio. Le stime della Banca mondiale annunciano un segno meno per il prodotto interno lordo mondiale (dato peggiore dal 1945) che segna la maggiore contrazione degli ultimi 80 anni, con un drammatico calo del 15 per cento della produzione industriale;

in questo ambito intervengono i dati forniti da Confindustria che sottolineano non solo la recessione nei consumi delle famiglie per il biennio 2009-2010, quanto un drammatico calo dell'occupazione, previsto nell'ordine della perdita di circa 600.000 posti di lavoro con conseguente aumento della disoccupazione all'8,4 per cento. Ad evidenziare questi dati concorre il recente "Rapporto sulla protezione e l'inclusione sociale della Commissione UE", che non solo attesta la disoccupazione all'8,2 per cento, ma evidenzia come probabilmente in Italia salirà ulteriormente il tasso totale delle persone a rischio povertà, che nel 2007 era già intorno al 20 per cento, sottolineando in particolare le "differenze significative tra i sessi e gli squilibri regionali come fattori drammatici nella caratterizzazione del mercato del lavoro";

la crescente disoccupazione è sottolineata, inoltre, da un robusto ricorso alla cassa integrazione, con conseguente appesantimento dei conti pubblici. I dati relativi al mese di dicembre 2008 evidenziano un incremento pari al 526 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente del ricorso alla cassa integrazione ordinaria da parte delle aziende;

il "Rapporto sulla protezione e l'inclusione sociale" della Commissione dell'Unione europea sottolinea come in Italia le condizioni economiche e di vita delle donne siano peggiori rispetto agli uomini. È fondamentale attuare politiche che tutelino ed aumentino il tasso di occupazione femminile, oltre a riforme favorevoli alla famiglia ed a una migliore conciliazione con la vita lavorativa. Il recente monito dell'Unione europea affinché l'Italia produca una riforma del sistema previdenziale volta all'innalzamento dell'età pensionabile è un invito di cui è impossibile non tener conto, ma un'eventuale riforma del sistema deve necessariamente considerare l'importantissimo e delicato ruolo sociale della donna madre lavoratrice che cresce, educa e cura i propri figli e il ruolo assistenziale che la donna in persona svolge (cura anziani, assistenza malati, volontariato);

gli italiani lavorano da tre a poco meno di cinque anni in meno della media dei lavoratori europei. Ciò avviene perché si va in pensione da 1,3 a 2,3 anni prima rispetto alla media europea. Questo divario rispetto al resto dell'Europa provoca un incremento dei costi della previdenza italiana, più alta del 4,4 per cento rispetto alla media europea, e tocca il 14,7 per cento del PIL. Non è accettabile che in Italia lavori solo il 19 per cento di coloro che hanno tra i 60 e i 64 anni, mentre in Gran Bretagna sono il 50 per cento e in Spagna e Francia il 33 per cento;

la spesa pubblica deve essere ridotta, se si vuole davvero rimettere in moto il Paese. Tale obiettivo può essere raggiunto solo qualora vi fosse una forte politica di spending review, volta alla razionalizzazione della spesa. In tale ambito non può essere eluso il nodo dell'innalzamento dell'età pensionabile;

occorre un vero e proprio "patto generazionale" che, in virtù del contenimento della spesa previdenziale, implichi che chi lavora oggi sia disposto a lavorare più anni per permettere un futuro solido alle generazioni future. È assolutamente necessaria, in tal senso, una riforma del sistema previdenziale italiano, affinché si possano liberare risorse nei conti pubblici da destinare ad una politica per il sostegno delle famiglie con figli e delle piccole e medie imprese, i veri motori del sistema;

una recente ricerca del Cerm ha evidenziato come un innalzamento dell'età pensionabile produrrebbe un risparmio nei conti pubblici che ammonterebbe a 4,6 miliardi di euro per il 2009, 9,2 miliardi nel 2010, 13,1 nel 2011, 16,3 nel 2012 e 18,8 nel 2013. Ciò significa che nei prossimi anni si risparmierebbe in media lo 0,81 per cento del PIL;

non è assolutamente un problema da trascurare anche quello che riguarda i lavoratori cosiddetti precari. Un fenomeno molto diffuso che riguarda un lavoratore italiano su otto. Un fenomeno in costante crescita. Sono lavoratori privi di tutele, molto spesso con famiglie da mantenere. Sono le prime vittime della crisi economica. È fondamentale una strategia di pieno sostegno all'occupazione e una riforma degli ammortizzatori sociali. Non è assolutamente sufficiente il recente accordo sottoscritto con le Regioni, in quanto lo stesso non si propone di avviare la riforma degli ammortizzatori sociali, ma si limita ad aumentare le risorse sulla cassa integrazione in deroga;

le misure predisposte dal Governo nel pacchetto anti-crisi si sono rilevate non solo inefficaci nella sostanza per far rimettere in moto l'economia e favorire famiglie ed imprese, ma anche una tantum e discrezionali. Sono misure inadeguate, non strategiche e confusionarie, ben al di sotto delle aspettative, soprattutto in confronto a quanto messo in atto dagli altri Paesi europei. Il provvedimento del Governo ha perso completamente la sua funzione originaria, cioè quella di contrastare la crisi reale che sta investendo le famiglie e le imprese italiane;

il cosiddetto "bonus famiglia", in particolare, è inadeguato a questo scopo. Il bonus finirà per essere usufruito in larghissima parte, per l'82 per cento, cioè circa 2 miliardi di euro, dai single e dalle coppie senza figli. Alla famiglia con figli finiranno appena 450 milioni di euro, il 18 per cento circa. Se i genitori sono conviventi e non sposati, avranno diritto ad un bonus doppio perché nel caso di convivenza non vige il cumulo dei redditi, per le persone sposate invece sì;

anche le misure a favore delle imprese sono inadeguate. Si sta colpevolmente trascurando la forte stretta creditizia che le banche stanno attuando anche verso le imprese sane, giustificando la mancata concessione del credito con il mancato rispetto delle imprese dei parametri di Basilea 2. Si nota nel decreto la colpevole mancanza di incentivi alla produzione e nessun vantaggio fiscale;

la scelta di non procedere ad una modifica sostanziale degli studi di settore è un duro colpo sulla strada delle piccole e medie imprese italiane. Non è pensabile che uno strumento misuratore del reddito, pensato e predisposto in un momento di espansione economica, possa andare bene anche in piena recessione;

l'Unione di centro si era fatta promotrice di una serie di proposte volte a tutelare e sostenere i redditi delle famiglie, da una parte, e incentivare gli investimenti delle imprese, dall'altra. In quest'ottica era stato proposto di offrire un contributo di 100 euro al mese per il primo figlio e 50 euro per ogni altro figlio con un tetto di reddito famigliare di 50.000 euro, nonché di procedere alla revisione degli studi settore, alla detassazione degli utili reinvestiti in azienda destinati alla ricerca, allo sviluppo, alla sostenibilità ambientale e al riammodernamento produttivo, e infine alla definizione di un grande piano di opere pubbliche,

impegna il Governo:

ad offrire in tempi certi e ristretti interventi volti a tutelare e sostenere i redditi delle famiglie e gli investimenti delle piccole e medie imprese. Si ritiene che il contributo di 100 euro al mese per il primo figlio e 50 euro per ogni altro figlio con un tetto di reddito famigliare di 50.000 euro sia uno strumento valido per tutelare il potere d'acquisto dei nuclei familiari e sostenere la crescita dei figli;

a promuovere forti iniziative che spingano le banche a concedere credito per lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Il drastico calo delle esportazioni italiane sottolinea il forte ostacolo che le stesse incontrano al sostegno della loro crescita. Si propongono interventi dello Stato a garanzia delle banche per il sostegno al credito concesso alle imprese e ai loro necessari investimenti;

a prevedere un "patto generazionale" che implichi una tempestiva riforma del Sistema Previdenziale e degli ammortizzatori sociali, attraverso la concertazione con le parti sociali, estendendo innanzitutto l'età pensionabile e adeguandola alla media europea ed estendendo la cassa integrazione a tutte le categorie di lavoratori, anche quelli precari, a riconoscere alle donne lavoratrici, ai fini dell'innalzamento dei limiti pensionistici, l'attività prestata a sostegno di anziani, figli e di non auto sufficienti con loro conviventi;

ad attuare una riforma che contrasti in maniera definitiva il problema dell'inefficienza della pubblica amministrazione, non solo attraverso la lotta ai cosiddetti "fannulloni". Il problema dell'efficienza si risolve invece applicando al settore pubblico standard di efficienza e di efficacia pari a quelli in uso nel settore privato e riportando lo Stato e i Comuni a fare il proprio mestiere, cioè non a svolgere attività di erogazione dei servizi ma di regolamentazione e di controllo;

a prevedere una riforma in favore della liberalizzazione dei servizi pubblici locali, in quanto non solo ne verrebbe un beneficio alle famiglie in termini di riduzione dei costi, ma si libererebbero anche centinaia di milioni di euro che potrebbero essere impegnati proprio per quelle infrastrutture indispensabili ai nostri territori.

(1-00097)