Testo DDL 1380
Atto a cui si riferisce:
S.1380 Riforma degli organi di governo della RAI
Legislatura 16º - Disegno di legge N. 1380
Senato della Repubblica |
XVI LEGISLATURA
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N. 1380
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DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa dei senatori FINOCCHIARO, VIMERCATI, VITA, COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 12 FEBBRAIO 2009 Riforma degli organi di governo della RAI-Radiotelevisione italiana Spa
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Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge intende intervenire sulle principali anomalie che caratterizzano la governance dell’azienda concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico. Il progetto è circoscritto a tale specifico aspetto, pur ritenendo i presentatori che l’intera materia dell’assetto del sistema radiotelevisivo debba essere rivisitata e che la stessa disciplina riguardante la proprietà della Rai–Radiotelevisione italiana Spa, le finalità che essa deve perseguire, le risorse pubbliche di cui è dotata e quelle ricavate mediante la raccolta pubblicitaria dovrebbero essere oggetto di un approfondito ripensamento. Riteniamo tuttavia che oggi, prima ancora di affrontare i problemi più ampi a cui si è fatto cenno, sia assolutamente urgente dare alla Rai un governo adeguato all’importanza sociale, culturale ed economica che il servizio pubblico radiotelevisivo riveste in Italia. Tanto più in un epoca di profondi cambiamenti tecnologici in grado di rivoluzionare lo scenario dentro il quale una grande azienda radiotelevisiva deve muoversi. Da qui la priorità di un intervento legislativo che stacchi la spina del governo della Rai dalle segreterie dei partiti e la metta nelle condizioni di operare in maniera più efficace.
La «lottizzazione» di ampi settori della RAI, che dal management scende fino ai livelli più minuti dell’organizzazione interna, mina la credibilità del servizio pubblico e ne indebolisce pericolosamente le prospettive di sviluppo futuro. Questo problema appare per vari aspetti accresciuto dopo il cambiamento politico dell’inizio degli anni Novanta. Basti pensare che in sessantatre anni di attività (dal 20 aprile 1945 al 30 settembre 2008), alla guida della RAI si sono succeduti 25 presidenti (914 giorni la durata media del mandato) e 21 direttori generali (1.225 giorni la durata media del mandato). Ma mentre tra il 1945 e il 1992 la durata media del mandato dei presidenti è stata pari a 1.338 giorni, tra il 1994 ed oggi è scesa a 464. Nel primo periodo la durata media del mandato dei direttori generali è stata pari a 2.020 giorni, nel secondo di 512.
La forte presenza della «politica» genera la conseguente scarsa indipendenza degli organi di governo della Rai con gravi ripercussioni sulle scelte aziendali e sugli investimenti in innovazione e programmazione di medio/lungo periodo. Le professionalità e l’indipendenza dei lavoratori sono messe a repentaglio, con effetti negativi sulla qualità complessiva dell’offerta nonostante enormi potenzialità per produzioni di eccellenza che, benché depotenziate ed emarginate, continuano ad esistere.
L’indipendenza del sistema radiotelevisivo pubblico dal «sistema politico/partitico» è, d’altra parte, un principio avvertito nei principali paesi europei. E non mancano esperienze significative a cui far riferimento. Pensiamo alla BBC-British broodcasting corporation, oggi governata da un Trust, che ne controlla la missione e le strategie anche rispetto al mercato dei nuovi media e della multimedialità. La «Carta Reale» (Royal Charter) (l’ultima rinnovata nella primavera del 2006) che ne stabilisce missione, struttura, tipo di finanziamento e, per grandi linee, attività per i prossimi dieci anni, è stata adottata dopo un lungo dibattito, durato tre anni, che ha coinvolto partiti, aziende e cittadini. Ma pensiamo anche a come in Francia si sia aperto un duro confronto sul rapporto tra pubblicità e servizio pubblico. Non c’è paese in Europa che, davanti alla rivoluzione digitale, non stia affrontando la questione del ruolo futuro del servizio pubblico radiotelevisivo.
L’indipendenza del sistema radiotelevisivo pubblico è stata peraltro richiesta con forza e ripetutamente dalla Comunità europea attraverso le sue istituzioni. In particolare, vanno segnalate la raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 1996 n. R(96)10, adottata dal comitato dei ministri l’11 settembre 1996, che raccomanda l’indipendenza editoriale ed istituzionale del servizio pubblico radiotelevisivo, soprattutto dal Governo; la raccomandazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa 1641(2004) (On public service broadcasting) che considera l’indipendenza elemento essenziale per lo svolgimento della missione pubblica; inoltre la Risoluzione n. 1387(2004) della medesima Assemblea è dedicata espressamente alla situazione italiana (cui si evidenzia che la dipendenza della RAI dal potere politico è contraria al diritto comunitario); l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea 2000/C364/01, infine, sancisce la libertà dei media da interferenze dei pubblici poteri e, dunque, anche dal potere politico.
Questi princìpi, nella ormai lunga storia della Rai, sono stati quasi sempre elusi.
La RAI, nata come Unione radiofonica italiana nel 1924 mediante atto notarile, successivamente trasformata in EIAR – Ente italiano audizioni radiofoniche, nel 1927 e divenuta poi Radio audizioni Italia, si configura esteriormente come una società di interesse nazionale ex articolo 2461 del codice civile (oggi articolo 2451), ossia come una società di diritto comune, cui tuttavia la disciplina codicistica si applica compatibilmente con le leggi speciali che possono introdurre deroghe alla gestione sociale, alla trasferibilità di azioni, alla nomina di amministratori. Completano il quadro di specialità i controlli esercitati dalla Corte dei conti sulla RAI, quale ente a cui lo Stato partecipa in via ordinaria (articolo 100 della Costituzione), il controllo politico-istituzionale svolto da parte della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, il controllo tecnico-amministrativo esercitato dal Ministero, la vigilanza svolta dall’Autorità garante per le comunicazioni. A partire dal 1974 il capitale sociale della RAI è interamente in mano pubblica, posto sotto il controllo del Ministero del tesoro. Al di là del raffinato dibattito dottrinale sulla natura pubblicistica o privatistica della RAI, va rilevato che l’originaria partecipazione azionaria dei privati nella società (1 per cento) venne ceduta all’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale) nel 1974, cosicché a partire da quella data il capitale sociale della RAI è interamente passato alla mano pubblica (IRI 99,55 per cento; SIAE – Società italiana degli autori ed editori 0,45 per cento) e posto sotto il controllo del Ministero del tesoro. In considerazione della proprietà interamente pubblica e del particolare legame che unisce la RAI all’amministrazione statale, il diritto nazionale e comunitario consente tacitamente a questi due soggetti di stipulare tra loro contratti (ad esempio concessione di frequenze) in deroga alla disciplina comunitaria sugli appalti pubblici.
Come è noto, il referendum 1995 ha reso possibile la cessione ai privati delle azioni RAI, senza tuttavia che ciò comporti alcun obbligo di privatizzazione: nel valutare l’ammissibilità del quesito referendario la Corte costituzionale si limitò ad evidenziare la compatibilità tra la partecipazione dei privati al capitale azionario RAI e la natura pubblica del servizio radiotelevisivo, ovvero con il carattere di società di interesse nazionale della RAI, ai sensi dell’articolo 2461 del codice civile (Corte costituzionale, sentenza 12 gennaio 1995, n. 7). La legge 3 maggio 2004, n. 112 (cosiddetta «legge Gasparri»), a sua volta, ha rilanciato il tema della privatizzazione e disciplinato un processo di dismissione che avrebbe dovuto prendere il via entro quattro mesi dalla fusione per incorporazione della RAI-Radiotelevisione italiana Spa nella società RAI-Holding Spa, per condurre alla graduale dismissione della partecipazione statale nella RAI (articolo 21, della legge n. 112 del 2004). In realtà questo processo non si è mai avviato e le partecipazioni azionarie della RAI restano saldamente nelle mani dello Stato: al di là delle congetture sulla difficile collocazione di mercato delle azioni RAI, è certo che l’esito di una operazione di privatizzazione di questo genere darebbe vita ad un sistema ibrido, in cui il gestore si troverebbe a rispondere sia davanti ai soci in relazione ai profitti, sia davanti al legislatore in relazione all’adempimento degli obblighi di servizio pubblico. Ciò, evidentemente, non farebbe che aumentare la crisi di identità in cui versa da anni l’azienda, scissa tra il perseguimento di finalità di interesse generale e la massimizzazione dei profitti pubblicitari. Tutto questo senza che la dismissione azionaria possa offrire, in contraccambio, l’efficienza e la snellezza di una gestione interamente privata, dato che il limite di proprietà azionaria in capo agli investitori (1 per cento) manterrebbe saldamente nelle mani dello Stato il pacchetto di controllo della società.
Tornando all’attuale disciplina della RAI spa, la legge rinvia «per quanto non diversamente previsto» alla disciplina civilistica delle società per azioni (articolo 20, comma 2, della citata legge n. 112 del 2004; articolo 49, comma 2, del testo unico della radiotelevisione di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177). L’amministrazione della concessionaria è (teoricamente) affidata ad un Consiglio di amministrazione (CdA) eletto dall’assemblea dei soci, composto da nove membri dotati di specifici requisiti di professionalità e competenza, con un mandato triennale rinnovabile una sola volta. Il Cda nomina al suo interno un Presidente. Questo meccanismo di impronta chiaramente privatistica/societaria, tuttavia, non trova attuazione finché il processo di dismissione azionaria non raggiunga almeno il 10 per cento del capitale RAI (articolo 49, comma 9, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005), evento che potrebbe anche non verificarsi. Per questo la governance della RAI rimane affidata ad una disciplina in deroga al diritto societario, che prevede la nomina di sette consiglieri da parte della Commissione parlamentare di vigilanza, eletti con il voto limitato a uno, e due consiglieri (tra cui il Presidente) nominati dal socio di maggioranza, ossia il Ministero dell’economia e delle finanze. È vero che la designazione del Presidente deve ottenere il gradimento dei due terzi della Commissione parlamentare RAI, assumendo in tal modo le caratteristiche – quantomeno sulla carta – di «presidente di garanzia»; ma è altrettanto certo che il meccanismo di nomina sopra ricordato, seppure formalmente riconducibile alla volontà del Parlamento nel suo insieme, in realtà è concepito in modo tale da assicurare la prevalenza nell’ambito del CdA di esponenti della maggioranza governativa (1 è addirittura espressione diretta dell’esecutivo, un altro, il Presidente, è comunque indicato dal Ministro dell’economia e delle finanze).
È utile ricordare che la parlamentarizzazione delle nomine RAI risale al 1975, allorché, grazie al decisivo impulso della Corte costituzionale, con sentenza 10 luglio 1974, n. 225, la legge 14 aprile 1975, n. 103, venne a collocare la concessionaria pubblica sotto l’indirizzo e la vigilanza di un’apposita Commissione parlamentare permanente, allo scopo di sottrarla alle influenze della maggioranza di Governo. Dal cambiamento nella formazione dell’indirizzo politico-editoriale derivò anche una riforma degli organi di gestione, in particolare della composizione del Consiglio di amministrazione: i sei membri diventarono sedici, di cui 10 nominati direttamente dalla Commissione di vigilanza RAI. Per la prima volta dopo vent’anni dalla sua istituzione, il controllo della RAI venne pertanto trasferito dall’Esecutivo al Parlamento. Questa soluzione, se all’epoca rappresentava una formula idonea per soddisfare le richieste di pluralismo (interno) ripetutamente avanzate dalla Corte costituzionale, non riuscì minimamente a scalfire il problema dell’indipendenza: con la riforma del 1975 si è passati da una occupazione monocolore, realizzata dai governi a prevalenza democristiana, ad una «lottizzazione» della RAI, ossia alla spartizione delle aree di influenza sull’azienda di Stato da parte dei maggiori partiti presenti in Parlamento.
La parlamentarizzazione delle nomine RAI si pone per certi aspetti in linea con le già citate direttive della Unione europea, che da anni sottolineano il dovere degli Stati membri di garantire l’autonomia del servizio pubblico radiotelevisivo dal potere esecutivo. D’altro canto non ha affatto garantito la sua indipendenza dai partiti mentre ha creato una pesante, inefficiente bardatura nello svolgimento del servizio radiotelevisivo. Nell’impianto originale della legge 14 aprile 1975, n. 103, la Commissione RAI risulta titolare di un rilevante numero di competenze: innanzitutto esercita importanti poteri di indirizzo (formula le direttive generali per l’attuazione dei princìpi di indipendenza, obiettività ed apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, cui deve ispirarsi la società concessionaria del servizio pubblico); fornisce inoltre indirizzi generali per la predisposizione e l’equilibrata distribuzione dei programmi, indica i criteri generali per la formazione dei piani annuali e pluriennali di spesa e di investimento della RAI, formula gli indirizzi generali relativi ai messaggi pubblicitari allo scopo di assicurare la tutela del consumatore (articolo 4 della legge n. 103 del 1975). A fianco dei poteri di indirizzo la Commissione RAI è titolare – sempre in base alla legge n. 103 del 1975 – di rilevanti poteri di controllo di cui si serve per verificare il rispetto da parte della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo degli indirizzi forniti.
In tema di controlli, tuttavia, si assiste ad una pericolosa incongruenza di sistema: la legge 31 luglio 1997, n. 249, (cosiddetta «legge Maccanico»), mentre da un lato riconosce alla Commissione il potere di verificare il rispetto degli indirizzi ora ricordati, dall’altro attribuisce anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) il potere di accertare la mancata osservanza degli indirizzi formulati dalla Commissione parlamentare da parte della società concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico, ai sensi degli articoli 1 e 4 della legge n. 103 del 1975. Inoltre, alla stessa AGCOM viene riconosciuto il potere di richiedere alla concessionaria pubblica l’attivazione dei procedimenti disciplinari nei confronti dei dirigenti responsabili, secondo quanto previsto dai contratti di lavoro. A partire dalla legge n. 249 del 1997, dunque, si profila un rischio di frantumazione e di sovrapposizione di competenze tra gli organi operanti nell’ambito dell’attività radiotelevisiva: rischio che diviene evidente con la legge 3 maggio 2004, n. 112, che completa il processo di tendenziale spostamento di funzioni in capo all’AGCOM per gli aspetti relativi ai controlli sull’attività e sulla contabilità della RAI. Tale circostanza fa sì che la Commissione parlamentare, comunemente denominata di vigilanza, si qualifichi oggi assai più come commissione di indirizzo, mentre le funzioni di vigilanza e controllo risultano trasferite all’AGCOM. Analogo fenomeno si verifica anche in tema di par condicio e accesso ai mezzi di comunicazione in campagna elettorale.
Ad avviso dei proponenti, alcune mirate modifiche possono garantire all’assetto della RAI maggiore autonomia ed efficienza, all’interno di un mercato in costante rinnovamento.
Come abbiamo detto, il progetto qui presentato riguarda esclusivamente la governance dell’azienda, ferma restando la natura di società per azioni della RAI (ancorché di interesse nazionale), cui si applicano a pieno titolo le norme del libro V, titolo V, capo V, del codice civile, compatibilmente con le disposizioni delle leggi speciali previste per la concessionaria pubblica. La soluzione che proponiamo consiste nell’avvicinare quanto più possibile l’organizzazione aziendale della RAI a quella di una comune società per azioni, nei limiti imposti dai «rilevanti ed imprescindibili motivi di interesse generale» connessi allo «svolgimento del servizio pubblico» da parte della concessionaria (articolo 49, comma 9, del testo unico della radiotelevisione di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177).
Di conseguenza, il Cda perderebbe il suo attuale ruolo di «negoziatore», «giorno per giorno», delle decisioni aziendali, assumendo invece una funzione delicatissima di nomina dell’amministratore delegato unico (su cui si dirà in seguito) e controllo ex post, anche mediante il potere di revoca anticipata del mandato, sulla sua gestione: in questo modo si ottiene una amministrazione più flessibile ed efficace dell’azienda.
Il secondo punto qualificante della riforma riguarda la composizione del CdA della RAI e il meccanismo di nomina dei vertici operativi. A questo riguardo deve essere chiaro che qualsiasi tentativo di depoliticizzare la RAI implica un superamento sia della logica spartitoria della «Prima Repubblica» (la ripartizione in «lotti» delle diverse branche dell’azienda stabilmente appaltati a specifici partiti) sia la logica dello spoil system praticato in epoca bipolare e codificato dalla «legge Gasparri» con il ruolo preponderante attribuito al «combinato» maggioranza parlamentare (in Commissione di vigilanza) più Ministro dell’economia e delle finanze. Occorre per un verso parlamentarizzare completamente la designazione dei componenti del CdA, per altro verso spingere le forze politiche a trovare un accordo sulla designazione di amministratori realmente autorevoli e indipendenti.
Si possono, infatti, in linea teorica, concepire due diversi approcci per depoliticizzare la gestione quotidiana della RAI. Il primo consiste in adattamenti della governance che richiedano un ampio consenso bipartisan e che dunque inducano maggioranza e opposizione, messi in condizione di parità, quali che siano i soggetti politici che ricoprono l’uno e l’altro ruolo, ad affidare l’azienda ad amministratori dotati di grande autorevolezza, messi in condizione di agire con sufficiente autonomia ed efficacia, ed al tempo stesso incentivati a farsi garanti della indipendenza dell’azienda o almeno della sua equidistanza dall’una e dall’altra parte, così come avviene, o dovrebbe avvenire, per i componenti di istituzioni di garanzia. Come minimo, per questa via si può evitare che la gestione dell’azienda e le sue dinamiche interne, le aspettative e i comportamenti degli operatori risentano in maniera patologica delle alternanze al governo.
Un approccio alternativo per «depoliticizzare» la RAI consiste nel rendere gli amministratori della RAI agenti di un principale non-partigiano. Consiste, in pratica, nel creare un soggetto indipendente dal Parlamento, sotto la forma ad esempio di una Fondazione, nei cui organismi direttivi siano incluse figure rappresentative di diversi mondi e categorie sociali. In questo modo il «committente» della commissionaria pubblica diventerebbe un soggetto terzo, in cui il peso delle affiliazioni partitiche risulterebbero stemperate a vantaggio di una pluralità di voci provenienti dalla «società civile»: istituzioni culturali, associazioni di rappresentanza, volontariato, e così via. È questa ad esempio la strada adottata in Germania.
Si intende che vi sono pro e contro in entrambe le soluzioni.
La prima presta il fianco alla critica di mantenere ancora una volta il controllo della RAI in mano alla politica. Lo fa tuttavia al tempo stesso rendendo più evidenti e circoscrivendo le responsabilità che la politica, nella sede parlamentare, si assume per garantire la qualità del servizio pubblico. La seconda, aumentando il numero dei soggetti attivi nella governance, ed includendone anche alcuni la cui legittimazione ed effettiva «apartiticità» è dubbia, rischia di rendere ancora più opache le responsabilità.
Questo progetto adotta il primo approccio. Propone tuttavia di aprire la gestione della RAI al punto di vista di soggetti esterni all’azienda, rappresentativi di mondi sociali e culturali significativi attraverso una speciale procedura di consultazione in occasione della scelta dei componenti del Cda.
Resta d’altro canto evidente che il ripensamento della governance, secondo l’uno o l’altro approccio, costituisce solo un tassello di un più profondo ripensamento dell’assetto del sistema radiotelevisivo e, al suo interno, della missione affidata alla RAI.
Avendo circoscritto le finalità del presente disegno di legge al solo profilo della struttura di direzione interna della RAI, ed avendo adottato il primo dei due approcci citati, risultano cruciali alcune opzioni relative alla modalità di nomina, ai requisiti richiesti per la nomina, alla durata ed alla natura del mandato del Cda. Aspetti per i quali gli organi di governo della RAI dovrebbero assumere, ad avviso dei proponenti, alcuni dei caratteri tipici delle Autorità indipendenti.
In questo quadro, è di fondamentale importanza innanzitutto che la composizione del Cda sia ridotta a sei membri (un formato che evita la moltiplicazione dei poteri di veto e rende effettiva la bipartisanship), che il mandato abbia una durata relativamente ampia (si propone di fissarla in sei anni), più ampia di una legislatura, ma non sia rinnovabile. È altresì fondamentale che l’elezione dei componenti del Cda rispetti rigorosamente i requisiti previsti dalla legge e si svolga in sedi e forme che impegnino nella maniera più trasparente possibile la responsabilità del Parlamento. È tuttavia importante che la selezione dei candidati rispecchi la sensibilità di settori significativi della società italiana stabilendo qualche grado di separazione tra i candidati al ruolo di consigliere di amministrazione e la politica.
Dunque, i quattro consiglieri di amministrazione verrebbero eletti dalla Commissione di vigilanza con il metodo del voto limitato a due. La Commissione sarebbe però chiamata a scegliere all’interno di una rosa di nomi formulata sulla base delle indicazioni di una serie di soggetti espressivi di rilevanti settori della società italiana. Il voto della Commissione farebbe seguito ad audizioni con le persone indicate e disponibili alla candidatura. Il Presidente verrebbe invece eletto dalla Commissione di vigilanza a maggioranza dei due terzi dei componenti.
Il sesto componente del Cda, l’amministratore delegato, verrebbe eletto, come si dirà più precisamente in seguito, a maggioranza qualificata dai primi cinque. In questo modo si garantirebbe un equilibrio sostanziale all’interno del CdA tra consiglieri espressi dalle forze politiche di governo e di opposizione, evitando l’asservimento dell’organo principale dell’azienda al Governo in carica, da cui derivano una evidente lesione del principio pluralistico e le schizofreniche oscillazioni nella conduzione del servizio pubblico.
Nella presente proposta, i compiti del Cda vengono meglio circostanziati, seguendo il comune modello societario. Inutile dire che un elemento fondamentale del sistema è rappresentato dai requisiti e dalle incompatibilità previsti per i soggetti designati a far parte del Cda, ed in particolar modo del Presidente, il quale verrebbe eletto da una maggioranza qualificata tale da richiedere il convergente consenso di tutte le principali forze politiche.
Il terzo punto qualificante della riforma riguarda l’introduzione della figura dell’amministratore delegato. In base alle disposizioni del codice civile, il Cda così formato può delegare le proprie attribuzioni ad un amministratore delegato che però, in deroga al codice civile (articolo 2381 del codice civile), ma in rispondenza alla natura di società di interesse nazionale della RAI spa, verrebbe scelto obbligatoriamente al di fuori del CdA, attraverso una speciale procedura stabilita per legge. Viene meno, in questo modo, la figura del direttore generale, che in base alla normativa attualmente in vigore è nominato dal CdA, d’intesa con l’assemblea, per un mandato avente la stessa durata di quello del CdA (articolo 49, comma 11, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005). È noto che il direttore generale di una società per azioni, ancorché a totale partecipazione pubblica e/o concessionaria di un pubblico servizio, può essere, ai sensi dell’articolo 2396 del codice civile, un dipendente della società stessa, mediante adeguamento oggettivo del rapporto di lavoro ex articolo 2103 del codice civile. La volontà di conservare in vita il rapporto di lavoro del dipendente cui sono attribuite le funzioni di direttore generale risponde ad una prassi pluriennale osservata dalla RAI, mentre anche per i direttori generali provenienti dall’esterno si è sempre proceduto all’assunzione con contratto di lavoro subordinato (sebbene nell’ipotesi di scelta a favore di persona estranea all’organigramma aziendale la RAI avrebbe la possibilità di scegliere tra il contratto di lavoro autonomo o quello subordinato).
La soluzione che si propone punta all’individuazione di un amministratore delegato che, a differenza dei direttori generali sin qui nominati, possa vantare un’esperienza professionale estesa ad altri settori dell’economia e ad altri ambiti aziendali, risultando al contempo svincolato dalle logiche interne dell’azienda. Oggi il Cda può deliberare solo su proposta del direttore generale; e quest’ultimo, a sua volta, può assumere atti di una certa importanza solo a seguito di formale delibera del Cda. Si è così instaurato un rapporto di reciproca dipendenza, che limita fortemente la rispettiva libertà di azione ed espone il direttore generale ad una continua e defatigante «contrattazione» con ciascun consigliere di amministrazione. Il management della RAI, poi, è particolarmente pletorico: fanno capo direttamente al direttore generale fra i quaranta e i cinquanta direttori. Non esiste altra azienda che presenti questa caratteristica: negli altri Paesi (Inghilterra, Germania o Francia) le imprese che svolgono funzioni di servizio pubblico radiotelevisivo contano una decina di posizioni apicali in tutto. Questa anomalia è dovuta al diffondersi lungo tutti i rami dell’azienda del «contrattualismo» che caratterizza il rapporto fra CdA e direttore generale. Separando i due organi e distinguendo i meccanismi di nomina, come si propone, si otterrebbe l’emancipazione dell’amministratore delegato per quanto riguarda la gestione quotidiana dell’azienda, salvo ovviamente l’obbligo di quest’ultimo di riferire al Cda almeno ogni tre mesi. Il CdA, infatti, compie un atto di investitura iniziale, definendo l’ambito della delega attraverso un contratto di lavoro autonomo sottoscritto con l’amministratore delegato, e questi resta in carica fino a quando il CdA non perda la fiducia nei suoi confronti e lo revochi in base a una valutazione complessiva sulla linea seguita e sui risultati ottenuti. Dotato di maggiore autonomia decisionale, l’amministratore delegato viene messo in condizione di curare effettivamente che «l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa», come previsto dalla disciplina societaria (articolo 2381, comma quinto, del codice civile), assicurando una gestione flessibile dell’azienda e adottando le soluzioni che il mercato o la missione istituzionale esigono a seconda delle circostanze. Un amministratore delegato, assunto con un contratto di lavoro autonomo dall’azienda, assume in prima persona le proprie responsabilità gestionali di fronte al CdA, ma come contropartita viene lasciato libero di decidere e operare sulla base delle proprie esclusive valutazioni, circondandosi di un numero di dirigenti ristretto. Questo fatto, di per sé, pone le premesse per una riforma dell’intero assetto organizzativo dell’azienda.
L’ultimo punto qualificante della riforma riguarda, appunto, la nomina dell’amministratore delegato. Come per il CdA, anche per quest’organo è pressante la necessità di garantirne l’autonomia e l’indipendenza dagli interessi particolari e contingenti dei partiti. Una soluzione adeguata allo scopo potrebbe essere, in questo caso, affidare la nomina dell’amministratore delegato ad un meccanismo costruito su più livelli.
Il primo livello consiste nella individuazione di una rosa di idonei, a seguito della pubblicazione di un bando pubblico, da parte di un soggetto terzo e indipendente: a riguardo, la soluzione proposta consiste nell’affidare il compito ad una autorità indipendente (AGCOM) che peraltro conosce a fondo il mondo delle imprese, in particolare nel settore delle comunicazioni.
Il secondo livello è rappresentato dalla nomina dell’amministratore delegato da parte del CdA, secondo lo schema societario, mediante la scelta di un nominativo tra quelli che compaiono all’interno della rosa, con l’approvazione a maggioranza dei due terzi dei componenti da parte del CdA.
Il CdA è competente a revocare l’Amministratore delegato nel caso in cui, a seguito di una valutazione negativa sulla linea seguita e sui risultati ottenuti, perda la fiducia nelle sue capacità gestionali.
È evidente che il passaggio al nuovo modello richiede una assoluta chiarezza sulle finalità e la ratio della riforma. La riforma proposta implica, in primo luogo, una completa parlamentarizzazione del meccanismo di nomina del CdA come alternativa al trasferimento della proprietà dal Governo ad una istituzione terza. Il rafforzamento dei poteri monocratici dell’amministratore delegato implica, in secondo luogo, che i meccanismi di nomina del CdA e dello stesso amministratore delegato siano costruite in modo tale da garantirne il carattere realmente bipartisan. È ovvio infatti che la colonizzazione partitica della RAI non verrebbe affatto superata se si passasse semplicemente da un sistema di logoranti mediazioni basate sul principio proporzionale ad un sistema in cui la maggioranza acquisisce il controllo completo dell’azienda attraverso un amministratore unico di sua fiducia. Non si tratterebbe di una riforma della «legge Gasparri» ma di una sua estremizzazione.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Riforma degli organi di governo della RAI)
1. All’articolo 49 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Alla RAI-Radiotelevisione Spa si applicano le norme in materia di controlli sulle attività delle società per azioni previste dal codice civile».
b) al comma 3, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Il consiglio di amministrazione della RAI-Radiotelevisione italiana Spa è composto da sei membri, compresi il presidente e l’amministratore delegato»;
c) il comma 4 è sostituito dal seguete:
«4. Possono essere nominati membri del consiglio di amministrazione persone di indiscussa moralità e indipendenza, di comprovata professionalità e competenza, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, nel campo della finanza o delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione ed abbiano maturato significative esperienze manageriali. Non possono essere nominati componenti coloro i quali nel biennio precedente alla nomina abbiano ricoperto incarichi di governo, incarichi elettivi politici o ruoli e uffici di rappresentanza nei partiti politici, siano stati componenti del collegio di una autorità indipendente o che, in relazione alle cariche assunte nel biennio precedente alla nomina, permangano portatori di interessi in conflitto con l’esercizio della funzione di consigliere di amministrazione della RAI-Radiotelevisione italiana Spa. Ove siano lavoratori dipendenti vengono, a richiesta, collocati in aspettativa non retribuita per la durata del mandato. Il mandato dei membri del consiglio di amministrazione dura sei anni e non può essere rinnovato»;
d) dopo il comma 4 è inserito il seguente:
«4-bis. In caso di gravi e persistenti violazioni del presente testo unico, di impossibilità di funzionamento o di prolungata inattività, su proposta dei due terzi dei componenti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, le Camere possono deliberare, a maggioranza di due terzi dei componenti, la revoca motivata del consiglio di amministrazione»;
e) il comma 9 è sostituito dal seguente:
«9. Fino a quando il numero delle azioni alienato non superi la quota del 10 per cento del capitale della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, in considerazione dei rilevanti ed imprescindibili motivi di interesse generale connessi allo svolgimento del servizio pubblico generale radiotelevisivo da parte della concessionaria, ai fini della formulazione dell’unica lista di cui al comma 7, la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi indica quattro membri e il presidente del consiglio di amministrazione. Ai fini dell’elezione dei quattro membri del consiglio di amministrazione ciascun componente della Commissione esprime il voto indicando fino ad un massimo di due nominativi. Sono eletti i candidati che ottengono la maggioranza dei voti. I quattro componenti del consiglio di amministrazione sono scelti dalla Commissione, a seguito di audizioni pubbliche, tra i candidati indicati in numero di due ciascuno, dai seguenti soggetti: la componente rappresentativa delle regioni e degli enti locali nell’ambito della Conferenza unificata; il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro; la Società italiana degli autori ed editori; il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti; la Accademia nazionale dei Lincei; la Conferenza dei rettori delle università italiane; il Forum del terzo settore; il Comitato Tv e minori. Il presidente del consiglio di amministrazione è indicato con voto a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. In caso di morte, di dimissioni o di impedimento di un consigliere, la Commissione indica un nuovo consigliere che resta in carica fino alla scadenza ordinaria del mandato del consiglio di amministrazione. Al consigliere che subentri quando mancano meno di due anni alla predetta scadenza ordinaria non si applica il divieto di conferma di cui al comma 4»;
f) il comma 11 è sostituito dal seguente:
«11. L’amministratore delegato della RAI-Radiotelevisione italiana Spa è nominato dal consiglio di amministrazione con il voto della maggioranza dei due terzi dei componenti nell’ambito di una lista di candidati predisposta dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Le candidature possono essere presentate entro quindici giorni dalla pubblicazione sul sito Internet dell’Autorità e della Rai, di un avviso pubblico predisposto dalla medesima Autorità. L’Autorità, entro i trenta giorni successivi, trasmette al consiglio di amministrazione, con le relative motivazioni, la lista dei candidati, dopo aver accertato che essi siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge per i componenti del consiglio di amministrazione ed abbiano maturato per almeno un triennio rilevanti esperienze manageriali. La nomina dell’Amministratore delegato diviene efficace all’atto di accettazione da parte del soggetto designato»;
g) dopo il comma 11 sono inseriti i seguenti:
«11-bis. Lo statuto di RAI-Radiotelevisione italiana Spa prevede regole di condotta per i componenti del consiglio di amministrazione, con previsioni relative al conflitto di interesse deliberativo individuale ed al connesso obbligo di astensione, aggiuntive rispetto alle previsioni del codice civile, anche con riferimento al triennio successivo alla cessazione del mandato. Tali regole sono fissate in un codice etico che disciplina altresì le regole di condotta dei dirigenti e del personale della società.
11-ter. Il consiglio di amministrazione può revocare l’amministratore delegato con la maggioranza dei due terzi dei propri componenti.
11-quater. Il consiglio di amministrazione, fermo restando quanto esplicitamente attribuito dal codice civile, individua gli indirizzi dell’azione della RAI in coerenza con le disposizioni normative del settore e con i contratti di servizio stipulati con lo Stato e con le regioni, in relazione allo sviluppo dei mercati, al progresso tecnologico e alle esigenze culturali, nazionali e locali; verifica il raggiungimento degli obiettivi e la rispondenza agli indirizzi da esso formulati da parte della RAI; approva il piano strategico e finanziario, il bilancio di esercizio e i progetti di fusione/scissione della società.
11-quinquies. Il consiglio di amministrazione, ai fini dell’esercizio della funzione di controllo, riceve periodicamente dall’Amministratore delegato una relazione sull’andamento della gestione aziendale»;
h) il comma 12 è sostituito dal seguente:
«12. All’amministratore delegato, oltre agli altri compiti allo stesso attribuiti in base allo statuto della società, sono attribuiti in via esclusiva, in deroga all’articolo 2380-bis del codice civile, le seguenti competenze:
a) riferisce periodicamente, e comunque almeno ogni tre mesi, al consiglio di amministrazione sulla gestione aziendale per i profili di propria competenza e sovrintende alla organizzazione e al funzionamento dell’azienda nel quadro dei piani e delle direttive definiti dal consiglio;
b) assicura, in collaborazione con i direttori di rete e di testata, la coerenza della programmazione radiotelevisiva con le linee editoriali e le direttive formulate dal consiglio di amministrazione;
c) assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione dei dirigenti, nonché, su proposta dei direttori di testata e nel rispetto del contratto di lavoro giornalistico, gli altri giornalisti;
d) provvede alle politiche del personale dell’azienda;
e) firma gli atti e i contratti aziendali attinenti alla gestione della società;
f) sulla base di specifici piani, assegna annualmente le risorse economiche alle diverse aree di attività aziendale».
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